Fra Questi ci son' io, che canto e suono
quei gran fatti avvenuti al naturale. (833.1-2)
Quei gran fatti sono noti, annotati e riproposti in ogni modo. O quasi: non c'era stato ancora, il modo di ascoltare integralmente il canto e il suono di Uno fra Questi, tra i Villani implicati nei gran fatti. Si tratta di Angelo Pii (1846-1928), detto "il Poetino" ma che invece, è un gran poeta, orale e popolare. Il soprannome non ne diminuisce il merito: gli fu probabilmente imposto da fanciullo, quando iniziò a cantare di poesia, improvviando versi alla maniera dei Villani. Egualmente, il soprannome "Pinturicchio" rimane appiccicato ad un massimo pittore rivelatosi artista fin da piccolo (Bernardino Betti, 1454-1513). Forse persino il gigantesco Mozart (1576-1791) fu soprannominato "Musichetto" quand'era soltanto un fanciullo prodigio col suo parrucchino incipriato. Il Poetino non sarà così famoso, il suo canto sarà udito solamente da Villani di montagna... tutti quanti emarginati peggio ancora, perché eretici devoti al loro santo Davide: tal Lazzaretti, nativo di Arcidosso, un rustico Messia che finì sparato in strada dalla Polizia. Tutto tornava in rima, con profezia e poesia... e così sia nei secoli di secoli. Mentre l'individuo umano, sorge e cade come foglia dal suo ramo, concimando di saggezza la terra del Villano. All'epoca del Pii, era normale pure che fiorissero poeti, fra le tenere foglie dei Villani.
La poesia improvvisata a braccio ("estemporanea, improvvisata") è un'ancestrale arte popolare, nel suo duplice senso: "propria del popolo" e "molto diffusa", ma pochi Letterati la notarono, perché di norma non se ne stampava ed era raramente, pure manoscritta. Ciò non ostante, un più curioso Tommaseo [Niccolò 1802-1874], andò in cerca dei "canti d'ottava" di tale Beatrice di Pian degli Ontàni. Non inganni il cognome di Beatrice: non è affatto nobiliare e neppure, un cognome vero e proprio: denota soltanto il suo luogo d'origine, come il "da Vinci" del bastardo Leonardo [1452-1519]. La Villana degli Ontàni, già adulta e maritata, fu posseduta improvvisamente da spirito poetico... certamente non ignoto neppure ai suoi Villani genitori, se le misero un nome celebrato da Dante. A una festa di nozze paesane, la Bice si alzò in piedi a improvvisare rime in onore degli sposi. Da allora fu chiamata "la Poeta" e fu ospite contesa di feste e matrimoni. La sua modesta fama raggiunse il letterato Tommaseo che arrivò sul cavalluccio, fin sù al Pian degli Ontàni, per registrare i versi della rustica Poeta.
A quei tempi, i letterati non sapevano di "Lingua degli Dei" [Costa], nè tanto meno di "Mente Bicamerale" [Jaynes] però li affascinava "l'Anima del Popolo". Qusta obbligherà i Villani a combattere le guerre per l'Unità d'Italia... a parte la Dalmazia (oggi in Croazia) ove nacque, per sventura italianissimo, il nostro Tommaseo. Nè di questo, lo si incolpi, se egli montava in groppa al cavalluccio, sino al Pian degli Ontàni, per registrare i canti della dantesca Bice. Purtroppo, la Poeta non lasciava memoria del suo vento (707.4): non riusciva a ricordarne neppure una parola, nè poteva improvvisare un canto a freddo, neanche per il Tommaseo, senza l'atmosfera giusta, perché la poesia Villana funzionò così. Il solerte letterato fu costretto ad aspettare l'occasione conviviale, che ispirasse nuovamente la Poeta smemorata. Ed allora. ne trascrisse qualche canto, armeggiando alla tavola di nozze, con penna e calamaio tra gli ebbri paesani. [da Benni].
Al contrario, il Poetino trascrisse i suoi canti su Davide di propria mano: a futura memoria e, come va aggiunto lucidamente, se la memoria avrà un futuro [Leonardo Sciascia]. Possiamo immaginare che il canto del Poetino, quanto quello di Bice ai banchetti nuziali, sorga improvviso per grazia speciale (833.4) all'incanto dei compagni rincovati e disposti ad udire il vangelo (la "bella notizia") del Lazzaretti, Villano quanto loro. Così in Prefazione di M. Chiappini: "La narrazione di Angelo, detto il Poetino, sicuramente venne fuori a lume di candela, nella quiete delle lunghe notti dove, serrando l’uscio allo stridore dell’inverno, fra le domestiche mura ci si rincovava, ed al fuoco dei ceppi ardenti nel camino, le struggenti nostalgie della memoria indirizzavano il cammino." La Storia che vi canto, ve lo indrizza... / in ciò porgete orecchio e state attenti! (6.3-4).
Il Poetino, in quanto Apostolo tra i Dodici di Davide (727.5), si improvvisa a buon diritto come evangelista. Così a suo modo, ne canterà la Storia ai fedeli rincovati, intrepidi e sparuti quanto quelli di Gesù, perseguitati insieme dallo Stato e dalla Chiesa: dal Regno d'Italia o Impero Romano, dal Sinedrio degli Ebrei o Vaticano. Qui l'autentico Studioso indagherà se il Poetino ne scrivesse prima o dopo, di quanto lui cantava ai Davidiani rincovati. Già Davide in persona aveva scritto assai, a nome del suo Dio, ed aveva pure ammesso di non saperne tutto il significato. Ogni voce di profeta, o di poeta, sia sostanzialmente significante più che formalmente significativa. Il divino può svelarsi nel dettaglio più sommesso: nella brezza che sussurra, più che nel terremoto e l'uragano (Re.1 19.12). Qui nel Poetino, si può enunciare all'eco di una rima, che ci proponga un suono, di sapore o di contatto con il divino, da noi dimenticato nel mortìfero sonno del peccato (1.2). Così, vada colto, il senso più arcano di Davide, insieme con quello del suo Poetino. Quanto a lui personalmente, resta da dirne poco, oltre a quanto se ne cavi dai suoi canti, quando egli si enuncia drammaticamente in prima persona (803. 833, 843, 956...) o nelle rare testimonianze orali: "Angelo Pii [...] cantava sempre di poesia" (vedi Nota a che il Ventesimo, 840). Ne restano anche, le tracce infamanti di cronaca nera, pubblicate durante il processo per la celebre "Causa Lazzaretti ed altri": [Angelo Pii] "parla con lentezza, con una quantità di frasi ricercate e qualche volta spropositate, pare che reciti un'omelia o un'elegia [con] premeditate e empiriche ampollosità. [... ha l']abitudine di parlare istrionescamente in pubblico [...] la sua inflessione ha un poco dell'avvocato [...] e molto del predicatore di bassa sfera [...]. Sciorina senza riprender fiato una quantità di paroloni rotondi ed impropri; la costruzione dei suoi periodi ed i suoi traslati sono tali da far cadere in deliquio il più arcadico cinquecentista. Gli errori più madornali e inverosimili infiorano il suo discorso" (da Pitocco, in Note). Molto bene! se le jene inestinguibili del giornalismo hanno così rimasticarono la secolare satira contro il Villano, il Poetino ne risulta, almeno, ben più cólto. Pur sarebbe interessante rintracciare le sue deposizioni tra gli atti processuali... ma questo sia lavoro per autentici Studiosi. Nel frattempo, si cercherà alla meglio, di cavare del teatro dell'incognito Poetino: cantandone poesia suono per suono, gesticolando parola per parola, con il fiato che rimane... e in attesa di altri attori, migliori e imprevedibili.
Gli autentici Studiosi e i veri Attori siano dunque benvenuti... ma avvertiti da Prosaica di attenersi all'umiltà: "Riporto una testimonianza di Domenico Pastorelli discepolo, fatta dopo anni. Era sul principio della detta fabbrica [438], e un giorno David gli disse se voleva andare al lavoro della fornace della calcina. Promise ed andò, mentre lavorava sopraggiunse David con varie persone. [...] E al Pastorelli domandò: «Che dicono al paese?» quegli rispose: «Vorrebbero un miracolo per credere». «Disgraziati» disse David. «Di che tinta lo farò, quando sarà il tempo dei miracoli. Avrei piacere che allora non ci si trovasse nemmeno la suola delle scarpe». Si rivolse al monte e proseguì: «Se mi levassi la maschera, avrei tanto in mano che con un fiat da far sbarbare tutti i castagni di Pianola». [...] E siccome li vedeva interessati e attaccati alle cose terrene, così diceva: «Se tutta la vostra roba fosse paglia, a quest'ora l'avrei bruciata, e allora sarei certo di cavarci qualche cosa. Ed ora mi avvedo che voi fate l'aia e gli altri ci trebbieranno. Vedete cari figliuoli; è impossibile venire dietro a me, perché il sacrificio è grandissimo, poiché per voi è lo stesso che pigliare un sacco di grano e gettarlo per queste rupi, e voler poi pretendere di ritrovarlo tutto. Se io gettassi la maschera dal volto e mi facessi vedere chi sono, morireste tutti. Mettete in pratica i miei avvertimenti che sono diretti al vostro bene»".
Originale, Copia, Stampa, Fotocopia e Copione
Così ho redatto, a mio totale rischio, questo Copione. Ho trascritto integralmente la precedente ed unica edizione del Poema, che fu stampato postumo nel 1965, con sciagurati errori, refusi e lacune. Tale Stampa si basava sulla Copia del testo Originale dell'Autore, datato 1907. La Copia è scritta a mano, per l'occasione, da Turpino Chiappini, "alla luce del lume a petrolio" e dopo mezzo secolo, come ne ricorda Mauro, qui di Prefazione.
La Stampa incluse una bella paginetta introduttiva di Antonio Moscato, insigne cattedratico ma, parimenti, divulgatore storico del Lazzaretti, nella sua pur rispettosa ottica marxista. La paginetta include pure una breve NOTA dei giurisdavidici, umilissimi in Dio, com'essi sono sempre. Quel libro raro, si può trovarlo oggi, in Biblioteca Comunale di Arcidosso ed in quella "della Ghisa" (Follonica, GR). Se ne trovi Fotocopia in Biblioteca CPA (Centro Popolare Autogestito Firenze-Sud)... e pure altrove, sempre più sbiadita ma sia, comunque, di indelebile poesia.
L'Originale manoscritto del Poeta fu disperso per sciagura, tra gli sgomberi domestici effettuati dagli eredi. La Copia manoscritta da Turpino è conservata invece in Fratellanza Giurisdavidica. Qui Mauro Chiappini l'ha confrontata con la prima bozza del mio Copione, segnando puntuali e preziose correzioni. Devo aggiungere che Mauro si sottopone al rito di ricopiare, nuovamente a mano, tutto il Poema, già trascritto da suo padre dall'autografo del Pii. Nel frattempo, che il canto popolare del Poeta orale sia resuscitato dal presente Copione corretto, dichiarato in copertina d'uso orale, perché è rivolto appunto alla recitazione, pubblica o privata. Spente le voci elettriche, si accenda la poesia... Caro Lettore! qui v'è grazia e vita / opera contenente Scienza e Bene. / Stùdiala, impara! e ti sarà gradita (1036).
Punteggiatura, Formati Grafici ed Ortografici
Per facilitare il canto del Lettore improvvisato, ho aggiunto alle parole del Poeta una punteggiatura, che suggerisca il senso delle frasi ai meno avvezzi e, sopra tutto, ai Giovani lettori (se possano esisterne ancora). Ad esempio: <la fortezza mi diede san Michele> diventa <la fortezza, mi diede, san Michele> perché sarebbe lui a dare la fortezza. E così via di , virgola : due punti ; punto-virgola. Così meglio può capirsi una lettura e, via dicendo, un suo significato letterale.
Ho aggiunto parimenti . punto fermo perché il nostro Poeta registra i suoi canti su carta senza farci mai di punto e, raramente, di virgola. Ad orrore dei Grammatici, ho aggiunto pure ' apostrofo ed accènto,per agevolare gli Sgrammaticati.
Ho messo tra (parentesi tonde) ogni lettera d'inciampo a una recitazione attuale. Al contrario, ho invece aggiunto, tra [parentesi quadre] quanto fosse necessario ai ritmi fonici. Ho posto tra quadre [ ] spaziate anche le pause di sillaba muta. Le quadre [] senza spazio risolvano invece, i "dittònghi" tra parole contigue: suggeriscano un distacco di pronuncia tra vocali, quanto la ¨ dïeresi interna ad una parola. Ovviamente, tutto questo era superfluo per l'Autore e per i Villani i suoi pari, che sapevano cantarne a modo loro... senza stare a misurarsi col Metro letterario in 11 sillabe: con il verso endecasìllabo, che sembrava il ritmo principe in bocca agli Italiani, cólti o meglio Villani... peggio oggi, tra i creatori di annunci commerciali.
Ricorro all'espediente della _lineetta bassa_ per sostituire tutte quante le virgole di Stampa, che spesso non hanno funzioni logiche ma recitative: segnalano pause nella dizione, più che sezionare membra nel corpo della frase, rispetto a una corretta anatomia lnguistica.
I discorsi diretti si pongono tra "«virgolette»", gli incisi del Poeta tra -lineette-. Una lineetta-singola suggerisce soluzioni alternative di lettura: come e-d' al posto di ed'. Le voci di "avere" pigliano la h: ho... hanno invece che ò... ànno. Pronomi divini, parole Importanti e Personaggi pigliano Maiuscola. Si pongono in corsivo le correzioni di ogni probabile errore di Stampa o di Copia. Si aggiunsero in corsivo pure i titoli, per scandire in qualche modo gli episodi della Storia.
Note
In coda al Copione, si trovano Note di vario genere e dimensione. Innanzi tutto le Note lessicali, per spiegare le parole più difficili, che siano dialettali, tecniche o antiquate. Ho creduto di rivolgermi a un Ragazzo di oggi, con il suo limitato vocabolario, che non include sempre periglio o desìo. La Poesia non è morta, forse ha cambiato nome: può chiamarsi pure Rap.
Comunque sia, ho pure svolto in prosa elementare le frasi più complesse. Tali Note di paràfrasi possono ben chiarire ma impoveriscono il senso della Poesia, che andrebbe colto come sintassi in flusso. Dichiarandomi inesperto, improvviso questo termine per definire "il flusso fonico e verbale del poeta che improvvisa". (Tale il Pii si dichiara in 833.3-4 e, non caso, nel congedo al Poema, in 1036.79). Basti così: gli autentici Studiosi potrebbero tracciare una mappa di improvvisi che affiorano al Poema.
Nel frattempo, e con analoga vivisezione, si demolisca l'apparato fonatorio del Poeta. Fatta così astrazione dai suoni della voce, si potrebbe analizzare freddamente (con rigore scientifico) l'organismo residuale del "significato" nella trama "improvvisata" dal Poeta popolare. Operando in tal modo, una qualsiasi cellula verbale può attribuirsi al testo che la precede ma, altrettanto bene, a quello che ne segue, dove funzionerà diversamente. Questa sintassi in flusso non è formalmente logica ma sembra quasi un processo naturale... un rizòma botanico. Di conseguenza, per cogliere il "senso" della composizione poetica, occorre rinunciare all'eredità scolastica della "analisi logica e del periodo sintattico". Non di meno, le Note di paràfrasi si offrono a proporne, per placare ogni eventuale ansia intellettuale, che potrebbe ostacolare l'audizione più serena. Così da parte sua, l'emisfero cerebrale parallelo ricavi da ogni ottava un sistema probabile di "significati", come il Fisico quantista, che interpreta galassie ed eventi sub-atomici: senza averne certezze definitive ma sapendo che ogni scienza è implicata nell'evento che presume di descrivere.
Non si dolgano gli autentici Studiosi delle banali Note su gli eventi, i personaggi storici e i siti geografici. Questo libro si rivolge agli improbabili Lettori adolescenti, istigandoli a cantare recitando, a scuola e fuori, meglio ancora a Monte Labro e nei siti dei gran fatti. Vengono in Note, altrettanto banalmente, miti e culti, cattolici e biblici, senza i quali ci si può disorientare nell'onnìvora storia di Davide e Soci. Ho cercato di indicare quanto il culto (o la Bibbia) coinvolga sedimenti simbolici ancestrali nel suo racconto definititivo. Ogni trama che si narri religiosa va a insinuarsi in un ordìto precedente, forse psico-fisiologico. che può sempre sostenerci come siamo o ci illudiamo d'essere. Altrimenti, c'è l'odierno ordito narrativo che ci sottopone, scientificamente, al culto spietato del Potere d'Acquisto... ma Con l'àrgebre dei vostri computisti, / non gioverà per far' novelli acquisti. (411). Qualsiasi sia la scelta, anche nessuna, meglio attenersi al canto, più che alla lettera: sarà la voce a darne differenza. Perciò va rispettato l'apparato fonatorio del Poeta e va abolita la sua vivisezione, che fu proposta sopra come ipotesi chirurgica.
Ho confrontato i canti del Poeta con gli scritti in prosa e in versi dello stesso Lazzaretti, citando all'occorrenza. Idem ho fatto con la prosaica Storia scritta dall'Imperiuzzi, mentre il Poeta ne improvvisava un'altra in parallelo, cantandone a suo modo di poesia. Affido ancora agli autentici Studiosi di indagare la sinossi tra questi due vangeli d'epoca moderna... e con il vangelo apòcrifo del prete rinnnegato: Don Tista Polverini.
Ho citato altre testimonianze, che sembrano anche rivelatrici dell'irriducibile pluralità del Lazzaretti: "Io sono un Essere che faccio figura secondo le circostanze" (in Nota a L'inglesina Alice, 447). Ho ripescato echi ed intarsi danteschi: il Poetino conobbe assai bene la Divina Commedia dell'Alighieri. Pure conobbe la Gerusamemme del Tasso ma di questa, non raffronto perché mi è indigesta. Si affida infine, agli autentici Studiosi, il raffronto puntuale del Poetino con l'Alighieri e il Tasso, con le fiabe e le novelle dei villani o più prosaicamente, con il lessico giuridico e carcerario.
Ho cercato di accostarmi con rispetto e con affetto al corpo del Poema (e di conseguenza, del Lazzaretti) senza ambire di costringerlo in formule severe. Del resto, ogni forma o sostanza è realmente illusoria: questa è la sola verità della poesia (o del Lazzaretti stesso, che pure fu poeta, oltre che profeta). Sia questo, il mistero indicibile dell'iillimitato corpo divino, che alcuni insistono a voler chiamare Dio, magari Padre. Ho annotato, d'altra parte, un Marianesimo, dove il culto per Vergine Madre risente di ancestrali credenze pre-cristiane. Tra altre cose del genere, ho annotato pure certi organi agricoli nel corpo simbolico di Davide e Soci. E così via... la storia insostenibile di Davide provoca sempre nuove, ed irresponsabili, interpretazioni.
Il sovrano del Mare del Sud aveva nome Rapido, il sovrano del Mare del Nord aveva nome Inatteso, Il sovrano del Centro era chiamato Indistinzione. Rapido e Inatteso si erano incontrati un giorno nel paese di Indistinzione, che li aveva trattati con grande benevolenza. Rapido e Improvviso vollero ricompensare la sua accoglienza e si dissero: "L'uomo possiede sette orifizi che gli servono a vedere, a ascoltare a mangiare, respirare... Indistinzione non ne ha neppure uno, proviamo a fargli dei buchi" Si misero all'opera e gli praticarono un orifizio al giorno. Al settimo giorno, Indistinzione morì" (Zhuang-zi).
Torno a dire in conclusione, che la storia nel Poema non va soltanto letta mentalmente. La si legga teatralmente, a piena voce [Majakovski]. Poi che l'oda chi ne può e, chi voglia, ne ripeta... sui luoghi del miracolo di Davide e dovunque possa udirsi di utile poesia. Così ne stampò pure, nei suoi limiti cartacei, un poeta surrealista e cittadino di Parigi (Paul Éluard, Liberté, su volantino, 1945):
Scrivo il tuo nome al di sopra del silenzio.
Sono nato per conoscerti,
sono nato per amarti:
Libertà!
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