Teatro alle Scale di Porchiano

Porchiano del Monte, di Amelia TR, non quello di Todi PG. Teatro all'aperto con estensioni al bosco. Dedicato a Iacopone da Todi. Spettacoli, edizioni e divulgazioni del Poetone Iacopone ma anche del Poetino Angelo Pii e Divina Corriera di Buddha Bus. Artisti e non artisti benvenuti ad esibirsi .

Wednesday, December 28, 2016

Lauda a Sorpresa

Lauda Natalizia con Presepi

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Questa è la "Lauda a Sorpresa" promessa, che concluderà il ciclo dei Sabati d'Autunno nel Teatro alle Scale di Porchiano, il 17 Dicembre, alle ore 21. Dura meno di cinque minuti, segue l'ultima tappa autunnale della Divina Corriera. Non si replica Lauda il 18, in piazza Mazzini (alberetti) di Amelia, al mercato di "Natale dell'Altro Mondo". Qui invece, terrò banco coi miei libri iacoponici: "Il Beato Maledetto" eccetera. O che replicassi lauda, sempre lì, al "Baby Pit Stop", angolo per l'allattamento al seno, dato che tanto, lauda ne canta, seno lattante. Vedremo.
Poi certamente sabato 24 intorno prima o poi alle 23 nella chiesa di Porchiano alla messa di meezzanotte, che inizierà alle 22,30 perché a Porchiano semo troppo avanti!  ma senza costume, ch'è poco canonico. Disponibile ovunque per altre repliche, con o senza costume. 
Tel. 338 6762691. No Email.



Qui scarichi il Copione in PDF della lauda natalizia:
Inoltre in teatro è allestito un piccolo e doppio presepe: Transgenico e Animalista, visibile anche su appuntamento, con o senza replica di lauda.
Qui scarichi Aneddoti in PDF sul Doppio Presepe al link: 
http://pdfsr.com/pdf/presepi-in-teatro-alle-scale

Tuesday, December 20, 2016

Divina Corriera su carta

Dopo il grande successo in Teatro alle Scale, la Divina Corriera su carta. 
Edizione nuovissima in 248 pagine di cm 15 x 21, con miniature.


Il Libro costa almeno 10 Euro sulla piazza di Porchiano, anche a Bottega di Paola.
+ 2 Euro di eventuale spedizione. Bonifico bancario o cc. postale quali vedi alla pagina

 


Tuesday, October 25, 2016

Divina Corriera 092-095. 4a tappa

Buddha Bus
LA DIVINA CORRIERA
ad uso orale per il Teatro alle Scale di Porchiano

Il popolare capolavoro di Buddha Bus 
finalmente tradotto in italiano dal singalese.
L'eternità in tre giorni: dura altrettanto il comico viaggio 
degli isolani di Borgo Sabbioso sulle tracce dell'Illustre
tra miseria e dignità, metropoli e montagne, memorie ed oblio
e sopra tutto, un eterno sorriso.

Quarta tappa, Cantucci 092-095

Così cantò Buddha Bus:
"Senti Notizie, accendo la poesia, 
che non ci manchi l'onda o la corrente!"

092
[Sù per i Boschi, con Elefanti e Farfalle]
Dal mare di risàie su risaie,
il Bùs accosta un piède d'Altopiano 
che s'àlza per insòlita boscaglia. 
Sparite ormài, l'amate Cocco-Palme, 
in gràppolo di poppe scollacciate: 
Palme svettanti, dritte sù nel cielo, 
nelle loro verdissime esplosioni 
da fuochi artificiali per davvero.
Entrati per l'insolita boscaglia: 
un forteto selvaggio, un’aspra sélva 
oscura fin nel mezzo, nostra via, 
con rami adunchi, tormentati e cupi... 
eooure non ci fanno gran paura, 
che li rallégra troppi fiorelloni, 
appèsi mille a mille, a mazzi interi, 
nel più suprèmo sprèco di colori. 
S'incròciano domèstici Elefanti, 
che vanno per la macchia a lavorare 
con passo da Stradino rassegnato. 
Altri Elefanti, in turno di festivo,
si rilàssano a bagno per il Fiume, 
tra rocce lùcide, grigi altrettanto, 
mimètici, nell'acqua che l'immerge,
rivelati però, dalla probòscide 
periscòpica a mo’ di sommergìbile. 
È 'l loro quarto giorno: il dì festivo 
per ogni quattri-màna sindacale, 
ch'è festa sacrosanta, da quel mitico, 
selvaggio sciòpero dell'Elefanti. 
Sù per l'impèrvie svolte della strada, 
la vista ci s'annèbbia in fitti banchi 
di Farfalle, celesti e turbinose. 
Quest'improvviso abbaglio, tutt' azzurro, 
offusca la visione del Presente 
che sotto, ci strapiomba pei tornanti. 
Il Bus, precario, sempre più s'inèrpica, 
strappando sèmpre, "Àmen!" collettivi 
ma Indice egoìstico rinnega 
la stretta comunione delle dita 
congiunte, tese all'ùnica preghiera: 
s'appunta solitario, verso il vèntre, 
ad indicàr protèrvo: "Pancia Vuota!"
093
[Tutti al Bagno, per la visita al Dente dell'Illustre]
Per ogni appuntamento con il Dènte, 
ci vuole preventiva pulizia! 
E dunque 'l Bus parcheggia, in riva al Fiume 
che qui costeggia un àrgine, scolpito 
per dar l'accesso agévole nell’acqua 
all'utènza del Bagno-Lavatoio, 
annesso ad un paesello non lontano. 
I Ragazzi che son, di scòglio, nati,
si tuffan giù, da àngeli dannati, 
in costume da bagno della festa 
(no da misero, bagno quotidiano
nella vasca comune dell'Ocèano). 
Il Maschio Adulto invèce, cautamente, 
s’immerge di battèsimo solenne 
e 'l sottanone gli si gonfia sotto, 
per que' subàquei giochi di corrente.  
Vestite dalla spalla a mezzo stinco
più castigate, rèstano le Femmine 
che raramente affrontano le spiagge, 
ma l’acqua incolla drappi sulla pelle,
e le trasforma in nudi colorati! 
Nello splendòr che va di donna in donna, 
spiccano vìvide Fanciulle in Frutto: 
Palme flessuose, da chioma spiovente 
protèndono un par di Cocco-noci 
che saziano la vista ma, purtroppo 
senza nozze, la vista solamente. 
Nudo integrale, solo per l'Infanti: 
lustri e stillanti, fruttini strilloni, 
s'aggrappano di tronco a Genitore 
che se li tuffa, giù come biscotti, 
finché non gli si nétta nell'orecchi.
Scherzetti, schizzi e sguazzi e, per l'intanto 
tutti d'impegno, nello spumeggiare 
di moltèplici sciampi e saponette. 
Non per nulla che noi si rappresentiamo 
(secondo le statistiche dell’Onu)
il più pulito popolo del mondo! 
o che si fa più bagni, per lo meno.
 094
[Bucato, Gioie e Pranzo]
S'adempie altro Precetto dell'Illustre:
"Appùra, dopo 'l corpo, pure i panni!" 
Braccia donnesche, d'òpra palestrate, 
te li dislógano spietatamente
sbatténdoli sui lucidi lastroni
pestàndo sotto i liberi piedoni.
Da tanta lor tortùra perpetrata, 
ne sprèmono, d'ambiguo sugo bigio! 
che la sorella - acqua del Torrente, 
sempre indulgènte, sùbito disperde. 
Panni affogati, ri-pescati e torti, 
gettati poi, ridotti come stracci, 
a riànimàrsi su li stecchi d’erba 
che sbùcano, ristetti tra lastroni. 
Sott' al pudìco sbandieràr di drappi 
che vela inusitàte castità, 
s'agghìndano nell'àbito da festa 
non solo: ma da tiepidi fagotti 
infrattati per l’ìntimo, ne frùgano
gioielli d’oro sano o tutto matto.
Sono l'umili gioie popolari: 
làmine gracili, fìligranèlle, 
tutt'allegre, del Sole più gagliardo 
che pur oggi, concede di brillare
in gloria dell'Illustre e Pòpolo sovrano!
  Ci s'indicava, tristi: "Pancia vuota!"
fin che dal Bùs, calò di fuori il pranzo 
cotto dall’alba, nel remoto ostello, 
e c'arrischiammo, tutti azzimatini, 
a coniugare 'l Riso (sempiterno) 
col (sempre suo mutante) conrisàtico… 
sicché contaminò, qualche pillàcchera, 
tutta la nostra precaria purezza. 
Raccapezzammo i panni bell'asciutti
e ci sciacquallo 'l piatto sotto tànica, 
ciascuno biascicando, come sa: 
"Che questo sciacquo, giù da la mia mensa 
nutrisca le creature giù terra, 
l’anima d'ogni bruto, d'ogni pianta!"
Trascorre, la clessidra de' Sabbiosi 
attraverso 'l pertugio del suo Bus 
ma più pazienti Babbi, con premura,
equànimi soccòrron' ogni Pàrgolo 
e pur le (più complesse) Pargolette 
in pisciarella d’ùltimo minuto.
"Partiaaàm, partiaaàm!"... in fine fu partenza. 
095
[Capelli e Profumi]
Il Bus arranca ancora a scollinare
e a bordo, senza tregua, si lavora 
rivolti sull'estrèmi adornamenti. 
Le Vérgini s'erigono all’impiedi, 
ondeggianti d’asfalto disconnesso... 
con tutte quelle curve malandrine! 
rastrèllano decise la criniera 
d’inattingibile profondità: 
lì proprio sotto 'l naso, palpitante, 
di que' Ragazzi, che non sanno 'l rischio 
mortale, di chi mira su la Donna, 
mentre s'acconcia e pettina capelli. 
Pettinella (di plàstica) fra dènti, 
la Sirenetta stringe ed incanala 
la cascata fluente de le chiome 
nella treccia, che par mai finisca 
ma giù, di tra le reni, ci s'aguzza! 
Freccia puntata, sèmpre, al bel bersaglio
mirato da' Ragazzi... ma dapprima:
donàte gioie d'oro e pure gemme! 
Perché? C'è qui Precetto dell’Illustre: 
"La Sposa avrà 'l diritto d'adornarsi!". 
Ogni Matrona, più che gioiellata,
s'arrangia in capo uno scalpo dismesso: 
risparmio previdente d'un antico 
proprio splendore o pùr, d’eredità
(perché gioielli poi, ne vanno in pegno
ma non c'è pelo a Monte di pietà). 
Prolungano così chiome reali, 
pur troppo brevi, rade ed ingrigite, 
con quèlla simil-treccia di posticcio. 
Invece che le Vérgini, compòngono
l’impropria treccia in un'austèra crocchia 
che si modella, come pan di creta, 
fra dita incora plàstiche, disciolte, 
di mani sempre màgiche: di Palma! 
Poi sbronza collettiva di profumi: 
scambi eccessivi e mutui d'ogni aroma, 
senza distìnguer' né sesso né età. 
Cocc-òlio infine, lustra tutte pelli 
e soffoca 'l conflitto tra gli aromi 
col suo soave, efflùvio dominante
sì che l'Illustre non ne possa dire: 
siamo concordi, puliti ed adorni... 
Illustri, certo no, ma già lustrissmi!
096
[Per la Città del Dente]

Lauda Ereditaria

Lauda Ereditaria
42 "Figli, neputi, frate, rennète"
In scena sabato 29 ottobre

Splendida lauda, è un piccolo gioiello! Iacopone si dimostra fedelissimo al suo ideale di "abbreviare il lungo": "ché la longa materia / sòl generar fastidia, / el longo abriviare / sòle l'om delettare. (65)". Il Poeta se la sbriga in un pugno di quartine, dove ci canta tutto quel che ha da cantare... poi "chi cce vorrà pensare, / ben ce porrà notare". Avendoci pensato, e bene o mal notato,  le mie divulgazioni le ho collocate a parte in PDF.

E' un Dialogo vivace (per così dire) tra Morto e Parenti. Lui patisce le pene del Purgatorio perché gli Eredi non vogliono mollare al Prete quanto promesso a parole sul letto di morte. Il Morto irrompe in scena, questionando i parenti tutti quanti: figli, nipoti e fratelli, riuniti forse a pranzo di famiglia... gli compare il fantasma insoddisfatto! ma lo rintuzzano senza pietà.

MORTO:

[Ritornello o Ripresa]
Figli, nipoti e fratelli, rendete
quel maltolto che io vi lasciai.
["Maltolletto": la ricchezza da me malamente acquistata, non solo la quota promessa al Prete].

Figli, neputi,   frate, rennete
lo maltolletto,   lo qual vo lassai.

Voi prometteste al prete 
["Apatrino" è un prete, come il Sìculo "parrino". Qui in ispece, è il confessore del moribondo.]
di renderlo tutto e di non venir meno!
Ancora non deste per l'anima un soldo. 
["Ferlino" è monetina che vale solo 1/4 di Denaio.]
di tanto denaro che io guadagnai.

Vui 'l prometteste   a l'apatrino
de rènnarlo tutto   e non vinir meno!
Ancor non ne déste   per l'alma un ferlino
de tanta moneta   quant'eo guadagnai".

PARENTI:

Se promettemmo, non lo sapevi?
Eri ben saggio, se te lo credevi!
Se a tue faccende tu non provvedevi,
rimettiti a noi... lo faremo domani. 
["Crai": da "cras" Latino]

Se 'l te promettemmo,   no 'l te sapivi?
Ben eri saio   che lo te credivi.
Se tu nel tuo fatto   non te providivi,
attènnite a nnui   ché 'l farim crai.

MORTO:

Io vi lasciai di molta grana 
["lavore": è il grano raccolto e, in genere, il profitto]
e pochi regali ancora ne ho avuti.
Quando ci penso, mi sento ingiuriato 
["desonore", qui e oltre, è concretamente un insulto] 
ché mi hanno abbandonano quelli che più amai.

Eo vo lassai   lo molto lavore,
pochi presente   da voi n'habi ancore!
Quanno ce penso   n'ho gran desonore,
ché m'hò abandonato   color ch'e' plu amai".

PARENTI:

Se tu ci amasti, dovevi vedere
a quale porto dovevi venire;
di quel che acquisisti, vogliamo godere
e non c'è nessuno che curi tuoi guai 
[con le Messe a Suffragio del defunto].

"Se tu n'amasti,   devive vedere
a quigno porto   devive vinire;
de quel ch'aquistasti   vollèmol' gaudire
e non n'è veruno   che cur'en to guai".

MORTO:

Io vi lasciai la botte col vino,
vi lasciai stoffe di lana e di lino,
mi avete posto nel lato sinistro 
[il Medio Evo spregia la sinistra: Giuda, il Diavolo e il traditore Gano sono sempre dipinti mancini],
con quanti guadagni che vi radunai .

"Eo vo lassai   la botte col vino,
lassà' vo li panni   de lana e de lino,
posto m'avete   nel canto mancino,
de tanta guadagna   quant'eo congregai".

PARENTI:

Se tu radunasti tanti guadagni,
di darti qualcosa, a noi non ne importa;
vàttene in pace se patisci tormenti,
hai fatto quei fatti, e vanne prigioniero.

"Se tu congregasti   tanta guadagna,
de darte covelle   a nnui non n'encaglia;
àgite 'n pace,   se pate travaglia,
faccisti tal' fatti,   captivo ne vai".

MORTO:

Io risparmiai per sostenere 
[qui "risparmiai" traduce "mesurai" - vedi in Coda]
la terra e a vigna, per far capitale 
[qui "capitale" traduce "lo podere" o diremmo "il potere" - vedi in Coda]: 
or non potete per niente volere
darmi una fetta di di ciò che acquistai?

"Eo ammesurai   a ssostenere
la terra, la vigna,   per far lo podere:
or non potete   ne[i]ente volere
darme una fetta   de quel ch'aquistai?".

PARENTI:

Se fosti crudele nell'essere tirchio,
a noi non piace di darti alcunché;
stanne sicuro  e mettilo a taglia
["Carace" o "taglia" è un'assicella dove si registrano lo forniture a credito; è divisa in due parti: per il debitore e per il creditore; le si incastrano insieme per segnarvi le pendenze a tacca di coltello.]
che delle tue pene non ci curiamo.

"Se tu fusti crudo   ad esser tenace,
darte chevelle   a nnui non ne place;
stanne scecuro   e fanne carace
che de to pene   non ne curam mai".

MORTO:

Io vi allevai con molto sudore
ed ora mi dite tal villania?
Penso voi pur verrete alle ore
che proverete che son le mie piaghe.

"Eo v'arlevai   con molto sodore
e mo me decete   tal desonore?
Penso che e vui   veirite a quell'ore
che provarite   que so' le me' plage".

FINE

Che si potrebbe aggiungere? Per ora solo questo, da Lauda 36:

Povertàt' è via secura,
non n'ha lite né rancura.
Povertate more en pace,
nullo testamento face.

Il mio resto è tutto qui:


Friday, October 14, 2016

Autunno teatrale a Porchiano




La valanga Iacopone mi ha coinvolto lietamente: dapprima nel suo testo originale, poi nelle traduzioni, nelle divulgazioni a stampa, orali e stradali. Ancor dopo, in un teatro improprio ma propriamente stabile.
il Teatro alle Scale di Porchiano nacque per rappresentare Iacopone ma era breve la sua recita e rischioso aumentarne la dose. Mi venne in capo di allungare gli spettacoli con un altro Autore, comico e mistico, forse affine in qualche modo a Iacopone. Quell'autore è Buddha Bus, che tradussi con il titolo "Divina Corriera" troppi anni fa... nel mezzo del cammiìn di nostra vita.
 In sostanza, si trattava di questo:

Il popolare capolavoro di Buddha Bus 
finalmente tradotto in Italiano dal Singalese.
L'eternità in tre giorni: dura altrettanto il comico viaggio 
degli isolani di Borgo Sabbioso sulle tracce dell'Illustre
tra miseria e dignità, metropoli e montagne, memorie ed oblio
e sopra tutto, un eterno sorriso

La messa in scena della Divina Corriera mi fa rivederne il testo per adattarlo "ad uso orale". Lo pubblicherò a puntate, soltanto dopo i collaudi teatrali: perciò non un copione preventivo ma i successivi "processi verbali di scena".
QUI SOTTO Pubblico in preventivo il "Divino Glossario", per chi fosse curioso di sapere cosa c'è sotto le parole dette... oppure di sopra, di fianco, non so. Confesso che molti, tra i pochi lettori dell'antica Divina Corriera "ad uso interno", trovarono il Glossario assai più dilettevole dell'opera. Non per altro gli concedo il titolo "Divino". 
In sé, la Corriera fu dunque fu bocciata allo Scritto ma dopo s'è vista promossa all'Orale, nella scorsa stagione del Teatro alle Scale: ci fu persino chi la preferiva al canto di Iacopone, supremo ma in Volgare umbro medio-evale.
QUI SOTTO Sullo Scritto e sull'Orale, sulla storia dell'opera in traduzione, l'eventuale curioso può leggersi i "Santi Pretesti" d'introduzione a Divina Corriera.
Tutto gratis ma "almeno 2 Euro", da chi venga in Teatro alle Scale. Cosa, come, dove e quando? Sta scritto tutto sopra, in locandina.



Monday, September 19, 2016

Le foto del festival






Qui sotto con Marcello Baraghini

il programma del XV Festival

immagini da FB Strade Bianche

"Pentito" o "Irriducibile"?




Il comunicatore scomunicato: 
Iacopone "Pentito" o "Irriducibile"?


Chiarissimo e caro, professor Franco Suitner,

ho letto con piacere, e spero con profitto, il suo libro Iacopone da Todi (Ed.  Donzelli, 1999).  Lei scrive che "la materia affrontata (...) è complessa e prevede competenze diverse, difficili da riunirsi in un'unica persona: sarò particolarmente grato ai colleghi e ai lettori in genere che vorranno aprire un dialogo con me."
Qui mi confesso "lettore in genere". La mia sola competenza può ridursi al divulgare teatralmente il testo iacoponico e pur qui, senza specifiche competenze teatrali. In tal modo dissento dalla Sua ipotesi su Iacopone, anziano e malato, che si arrende finalmente a papa Bonifazio.

Lei scrive iI Poeta supplicherebbe al papa di scarcerarlo, nella cosiddetta "seconda epistola a papa Bonifazio" (67 "Lo pastor del mio peccato"). Precisamente ai versi:
De star sempre empresonato,    se esta pena non ce basta,
pòi firire cun altr'asta,    como place al tuo sedile.
Secondo me, qui Iacopone dice: "Se la mia pena al carcere non ti è  sufficiente, tu puoi ferirmi con un'altra lancia ma non con quella della Scomunica". Dunque non chiede affatto la scarcerazione ma invece ribadisce, con analoga metafora guerresca, quanto lui già scrisse (55 O papa Bonifazio, eo porto tuo prefazio):
Per grazia te peto    che me dichi: "Absolveto",
e l'altre pene me lassi    fin ch'e' de mondo passi.
Poi, se tte vol' provare    e meco essercetare,
non de questa materia,    ma d'altro modo prelia.
La "materia" del contendere è sempre e solamente la Scomunica, non la carcerazione. Quando Iacopone chiede:
che ['n] me porge la man rogo     e sì me rende a san Francesco,
ch'isso me remetta al desco,     ch'eo receva el meo pastile.
Qui il Poeta può pur chiedere (come Lei scrive) di essere riammesso tra i Francescani per "consumare insieme a loro il loro frugale pasto giornaliero". Però quil il Mancini interpreta pastile come "Comunione". Del resto, Iacopone aggiunge dopo (v. 35):
Deputato so' êll'onferno     e so' ionto ià a la porta;
e non si andrà all'Inferno per l'esclusione dalla mensa francescana, ci si andrà per la Scomunica dall'Ostia consacrata. Certamente, Iacopone si lamenta di essere escluso, come un lebbroso, tanto dal pasto Eucaristico quanto da ogni pranzo profano. Perciò non solo dalle mense francescane ma pure da ogni pranzo fra cristiani (per dire qui, volgarmente: gli "umani" rispetto alle bestie):
Co' malsano putulente,     deiettato so' da sani,
né en santo né a mensa     con om san non magno pane.
L'esclusione da ogni mensa è inclusa fra le pene di Scomunica. Sono importanti, i discorsi a tavola: dal Simposio di Platone alla lettura sacra nelle mense conventuali... fino al valore comico che Bachtin ne rintraccia in Rabelais. Ai giorni nostri, ci si incontra per discutere in "cene di lavoro". Si può immaginare che il nostro Poeta fosse invitato a prender la parola anche a tavola. Si da pur testimonianza che Iacopone avesse recitato la sua orribile Lauda Insanitaria (81 O Signor per cortesia) al cospetto di Papa e Cardinali. Me li vedo alquanto brilli, alla fine di un banchetto, che dicessero  "Sentiamo Iacopone, che ce ne canti una delle sue"... e lui che li serviva da par suo con quelli a tastarsi sotto la tovaglia. Ciò per dire che la mensa offre al poeta un pubblico che sarà inaccessibile allo Scomunicato. Perciò il Poeta, più che mangiare, qui può avere l'intenzione di enunciare il suo messaggio: di "comunicare".

Le Goff parla di "fame del sacramento" nel mondo medievale e francescano. A noi Moderni parrà contraddittorio che, all'abiura del Corpo sozzo e malvagio, corrisponda l'estrema importanza di quei "segni sensibili" della Divinità che, per la Chiesa, stanno nei Sacramenti: nell'Acqua di Battesimo, nel Pane e nel Vino di Comunione, nell'Olio di Oliva al cresimando, al sacerdotabile, al moribondo... ed al sovrano.  Spirito e Materia qui si confondono e, come Lei scrisse: "la materia affrontata (...) è complessa e prevede competenze diverse, difficili da riunirsi in un'unica persona". Forse la competenza dell'Antropologo qui potrà spiegarci meglio. Col Canettieri, credo, attendiamo l'Antropologo che possa approfondire l'àmbito sciamanico di Iacopone.
Inoltre, la condanna alla Scomunica non implicò soltanto, l'esclusione dal rito divoratorio dell'Ostia consacrata ma pure l'esclusione da ogni contatto umano e da ogni contratto civile. Era nullo ogni contratto sottoscritto dallo Scomunicato, che non poteva esigere i suoi crediti né fare testamento (ogni suo bene, credo, finiva incamerato dalla Chiesa). Vietato, s'è anzi detto, mangiare o parlare insieme con lo Scomunicato. Quest'ultimo divieto fu certo il più bruciante al poeta Iacopone: di tutti gli altri gli sarà importato poco, nel suo amor de povertate, / renno de tranquillitate!

Iacopone incarcerato, non poteva parlare con nessuno perché era inoltre, scomunicato. (53 Que farai fra Iacovone?"). Pare assurdo che invece, tra merda e catene, gli fosse concesso l'armamentario di uno scriptorium, perché lui ci trasmettesse i suoi versi temibili. La mia modesta divulgazione teatrale mette il scena il Poeta che compone, danzando e cantando, la stessa lauda, al ritmo sferragliante dei suoi passi incatenati nelle "iette de sparvire". Scrissi pure che il Poeta qui ritratta il suo disprezzo per "le ipocrite mustranze" dei Flagellanti che, al ritmo della frusta, cantavano e danzavano per strada un teatro mistico, dalle oscure radici pagan-popolari. Qui invece, Iacopone si trova anche lui, a danzare cantando. Lo sente il carceriere, che è tenuto a rapportare parola per parola al superiore. E così per via gerarchica, la poesia poi si registra per iscritto: negli atti giudiziari relativi a Iacopone. Finché ogni atto finisce sulla stampa, come si direbbe oggi. Questa mia ipotesi è puramente teatrale.

(Inoltre mi consenta una parentesi, mio caro e chiaro Suitner. Secondo me, Lei equipara troppo il nostro Poeta a un professore o a uno scrittore, sulle scorte del Tresatti (in sua nota a 81 "O Signor per cortesia") che se lo immagina "prendere la penna a testimonio del concetto". A parte forse, quei cosiddetti sermoni didattici, che Iacopone avesse mai composto per istruire frati, io crederei piuttosto che tutta la poesia di Iacopone sia composta oralmente più che scritta o, diciamolo, mentale.
La Mente per un mistico, è sempre spazzatura e, all'epoca, lo scritto era un articolo di lusso. Lo immagino aborrito dal nostro Poeta, sempre fanatico di "Povertate". In generale, credo che la poesia non sia "concetto formulato e scritto" me che sia piuttosto "respiro e voce" del Corpo, sozzo e malvagio quanto lo si dica.

Mettendo in scena la seconda lauda carceraria (55 "O papa Bonifazio, eo porto il tuo prefazio"), mi sono immaginato Iacopone a compilare un modulo di "domandina". Con questa, ai nostri giorni, il Detenuto indirizza alla Direzione Carceraria un documento che, di necessità, sarà conservato in archivio. Insomma, Iacopone avrebbe usato l'espediente burocratico dei dissidenti sovietici, che così registravano le angherie patite. Quando l'Urss poi si dissolse, ne rimasero gli archivi, a disposizione dell'umanità. Così sarà successo pure per Iacopone... altra ipotesi teatrale, lo confesso.

Torno alla terza lauda carceraria (67 "Lo pastor del mio peccato"), di cui contesto la Sua interpretazione di un "pentito Iacopone", arreso infine a chiedere clemenza. Secondo me, Lui non concede nulla, più di quanto abbia concesso nel (55) prefazio precedente: sembra ancora, che ritratti solamente la sua firma nel proclama di Lunghezza. Cioè riconoscerebbe Bonifazio come papa... "Tale qual è, tal è". In quanto papa e qualunque egli sia, ha il potere di imporre o revocare la Scomunica perché è il Vice di Cristo. Infatti "Lo pastor (67), a parte i suoi dettagli conclusivi sull'empiasto burocratico, non è altro una una serie di parafrasi evangeliche, dove Cristo perdona e guarisce. Dunque, il suo Vice dovrebbe fare altrettanto, rispetto, alla Scomunica di Iacopone. Lei qui, Suitner, non ci trova sarcasmo né ironia, io non ne sarei sicuro. Più oltre, in conclusione, avanzerò un'ulteriore ipotesi, indubbiamente agiografica e anagogica.

Escluso che che al Poeta detenuto fosse concesso l'occorrente per scrivere, si può pure immaginare che qualche influente suo ammiratore gli ottenesse per tre volte, l'autorizzazione di indirizzare una supplica al papa. Iacopone, da poeta consumato (o da "intellettuale nato", come Lei preferisce) avrebbe approfittato di tutt'e tre le insperate occasioni per scrivere e diffondere i suoi versi... tanto infatti, è successo.
Alla prima (53 Que farai), il Poeta non cura di rivolgere suppliche.  Menzionata la sua causa (Pellestrina), espone subito le condizioni infami della sua detenzione. Poi riassume, stravagando a modo suo, le attenuanti del suo crimine. Queste stanno nel conflitto tra i frati Spirituali, sposati a Povertàte, e quelli Conventuali, assetati di potere clericale. Infine Iacopone dichiara di non chiedere sconti di pena anzi, ringrazia con santa arroganza per l'opportunità di fare ulteriori penitenze. Tutto questo presupposto "modulo di supplica" sarà compilato come si deve, soltanto alla fine. Qui Mancini evidenzia la Firma (Iacovon), l'Indirizzo del Mittente (en Todo) e il presupposto Destinatario: la Santa Sede (en cort'i Roma). Ma il Poeta rivela le sue vere intenzioni, augurando al suo canto di espandersi assai oltre: "en tribù lengua e nazione".
Alla seconda occasione di Supplica, Iacopone trasmette quel "Prefazio" che, formalmente si rivolge a papa ma, come supplica, è davvero indisponente.
Alla terza occasione di supplica, forse raccomandato di contenersi, il Poeta si dimostra rispettoso e più preciso. Rammenta di avere già inoltrato supplica (scripsite nel meo libello), senza averne alcun riscontro. Fà notare quanto scandalo la sua detenzione provochi nell'Ordine dei Francescani (la mea matre religione fa gran planto con sua scorta). Poi non riesce a contenersi, come al solito: approfitta del  testo evangelico per enunciare quello che più gli interessa: di fare il poeta. Vorrebbe ancora cantare, ad alta voce, la sua fanciullesca lode ad Iddio "ch'eo pòzza cantare ad voce     quello osanna puerile". E questa piena voce, salta fuori dal miracolo evangelico del cieco, cui resa resa la vista ma qui parla, incongruamente, come fosse stato muto.
Più propriamente, Iacopone canterà del sordo-muto guarito da Gesù; "e l'audito me sse renda    e sia sciolta la mea lengua,     che legata fo con 'Sile'. Che io possa si ascoltare ma che, sopra tutto io possa parlare di nuovo: sia disciolto il nodo "Sile" (stai zitto e silente!) che la Scomunica impose al Poeta. Il quale infine implora (o dice di implorare) che il suo pianto di anziano (senile) si riconverta in canto:  "ch'en cantare torni el luge   che è fatto del sinile." Qui noi si potrebbe dire: che il pianto si converta in "diritto alla poesia" se, in questi tempi oscuri, ciò non facesse ridere o affilare la scure dei carnefici.
Tralasciando le allusioni riscontrate, tutta questa poesia di Iacopone sembra davvero una supplica al papa. A questo papa:  "bruttura de peccato", e "Lucifero novello". Sia come sia, in quanto papa e vice, qui lo si  paragona al Cristo che miracola. Qui mi azzardo nuovamente a interpretare Iacopone: direi che Bonifazio, insieme a Celestino e Iacopone, è pure lui, venuto al paragone... oro o rame, filo o stame? Sarà superfluo attendere il referto dell'esame: Boninazio è una merda, secondo Iacopone.

Torno infine alla Scomunica dal rito della Comunione, la Scomunica di cui, il Poeta chiederebbe la revoca. Iacopone è poi davvero, affetto da quella insaziabile "fame di sacramento", asserita da Le Goff nel suo "Francesco di Assisi"? Nel suo racconto mistico, Iacopone si unisce col dio Cristo in Comunione erotica più che alimentare. L'amor divino è cantato di frequente come erotico, in Europa altrettanto che in Oriente, Vicino e Lontano, ma direi anche per l'Africa (di Americhe non so). L'Anima Sposa di Iacopone, col divino ci va a letto, più che a tavola con Cristo imbandito come cibo: Il Poeta ci canta il Sacramento dell'Eucarestia più raramente che l'alcova mistica.
Iacopone ci spiega il Pater Noster distinguendo le tre specie di pane quotidiano da chiedere al Signore (22 En sette modi, co' a mme pare). Innanzitutto il pane della devozione, che mantiene le anime in erotico abbraccio con Dio:
El primo pan ne ten con Deo
abracciat'en delettanza.
Poi il pane consacrato sull'altare, che ci fa socializzare con il Prossimo:
l'altro al prossemo n'à legati
en la fedele congreganza.
Infine, il pane materialmente detto, che mantiene i corpi in vita:
l'altro sì ne dà sustanza
ne la vita che menamo.
Perciò il divieto di Eucarestia, per Iacopone sarebbe letteralmente "Scommunicazione": noi si direbbe assenza di comunicazione, di collegamento sociale. In merito, ho avanzato un'ulteriore ipotesi arbitraria, ed anagogica più che teatrale, in un mio libello divulgativo ("Il Beato Maledetto, I. da T."  Ed. Strade Bianche di Stampa Alternativa, 2016, anche online).  Mi limito a riassumere: in 53 "Que farai fra Iacovone...?" , il Poeta ci canta tre visioni (o allucinazioni). Queste sono il canestrello, che sembra contenere cinque pani belli interi, il pesce en peverata e il taglier de sturione. 5 pani e 2 pesci in totale: se ne trovano altrettanti nel miracolo di Cristo della Moltiplicazione, che è simbolo attestato dell'Eucarestia. La catina che scende dall'Alto, e le croste di pane dal canestrello appeso come Cristo, non potrebbero essere (anagogicamente) il Calice e l'Ostia? Con i quali Iacopone si amministra da sé la negata Comunione, in barba al papa e a tutt'e quanti i preti, mentre ristabilisce la comunicazione: emettendo e trasmettendo quei tre suoi canti che in effetti, abbiamo ricevuto... diremmo per miracolo.

Abbia pazienza e saluti iacoponici
LG











Thursday, September 15, 2016

Iacopone evade da i Sabbioni

Caro Riccardo Arena di Radio Carcere,
 
(((certo tu non ti ricordi più di me: io sono quel ciclista che girava per la 2a Marcia per l'Amnistia: quella roba radicale, col Pannella sopra il camion, che batteva le manone alla Jazz Band, con tanti Direttori di carcere in corteo. con i Sindacalisti del penitenziario, più una teppa innominabile di Radicali Ignoti.
Sbandieravo sulla bici un bel tappeto, a forma di farfalla,  che fu tessuto a mano dai detenuti in Terni... "Laboratorio Estinto", mi pare avessi scritto sul cartello. Non ti ricordi? Mi scattati anche una foto... che dicesti di spedirmi, quando trovassi tempo. Non fa niente
Oggi però, tu dovresti (forse) leggere questa mia lettera in Radio Carcere: solo per cortesia verso Quelli Dentro e (forse) per spiegare qualche cosa a Quelli Fuori. Se l'ho fatta troppo lunga, salta pure i (tra parentesi). La mia lettera alla Radio comincia come segue:)))

Carissimo Riccardo,
tu dovresti scusarmi, via radio, con i ristretti Ospiti di Terni. Avevo già promesso di portargli "dentro" (proprio domani: 16 settembre) il mio piccolo spettacolo teatrale su un carcerato illustre: Iacopone da Todi. E' un santissimo poeta medievale, a suo tempo detenuto, in ergastolo ostativo, per reato di opinione. Lui lì ci scrisse (né so come potesse), una poesia bellissima, che te ne canto solo un pezzettino:
"La prigione che mi è data
è una cella sotterrata
ce ne scappa una latrina
che non sa di gelsomina."
Mi dicono che a Terni, nella Casa dei Sabbioni, molti aspettavano che Iacopone tornasse a raccontargli come si trovava in carcere... senza perderci un centesimo di onore. Ma Iacopone è evaso e non ci torna più.

S'era d'accordo (già da qualche mese), che questo mio spettacolo (la "Lauda carceraria di Frate Iacopone"), durasse una mezz'ora. Così l'avevo ridotto ed adattato (nella mezz'ora, ben specificata nella mia "domandina", dove elencavo pure ogni attrezzo di scena, che avrei dovuto introdurre in carcere: sonagli, catene, schiavetti, manette...)
Avevo offerto pure dieci copie di un mio libro appena uscito, su Iacopone, perché qualche Ristretto potesse informarsi in anticipo. Sono passati 700 anni!... occorre una breve lezione di Storia. Per questo libro, era meglio non "entasse": la Direzione disse che lo scaricava online, e che avrebbe provveduto a distribuirne copie. Chissà  poi, se l'ha fatto? (La Direzione esige... ma non ama esibire superflue tracce documentali. Comunque sia , questo maledetto libro  lo si trova online: "il Beato Maledetto" su www.stradebianchelibri.com http://www.stradebianchelibri.com/il-beato-maledetto---iacopone-da-todi.html

Ma Iacopone è evaso e, a Terni, non ci ritornerà. Purtroppo, lui rientrava in un evento, che è diventato sempre più importante: col Sindaco, col Vescovo, con tante Autorità: giornalisti di stampa e Tivù, un centinaio di invitati esterni... e non so quanto pubblico, selezionato tra gli Ospiti ristretti, che sarebbero gli Utenti prediletti del Gran Teatro Carcerario alla Moda. (E poi, pizza per tutti, cotta dalla Pro Loco del mio splendido villaggio: Porchiano del Monte).
 Insomma, solo pochi giorni fa, mi "riducono la Scena di un terzo": cioè devo recitare il "Detenuto Iacopone" in 20 minuti, invece che in 30. La scaletta del programma non mi fu mai rivelata, perciò non potrei dire quanto e come, sia poi modificata. So però, fin troppo bene, quanto il tempo carcerario è programmato. So pure molto bene, quanto, in caso di eccezioni, non occorra spiegarle a chi subisce.
Dunque sono costretto immaginare (lo ripeto: immaginare) che, all'ultimo minuto, a qualcuno venga voglia di montare sulla ghiotta passerella del Gran Teatro Carcerario alla Moda. Gli si dà 10 minuti? ma si prenda anche mezz'ora! Io non ci gioco più. Mi spiace, solamente, per i miei ex-compagni di collegio, che spero me ne vogliano scusare. Non sto a fare capricci da Prima Donna:  non lo sono e non lo sarò mai. Ma avrà pure Iacopone, il diritto di evadere? Non dico di galera, ma almeno dal sòrdido palco mediàtico, del Gran Teatro Carcerario alla Moda! Scusatemi, ripeto, oh fratelli detenuti.

Saturday, September 3, 2016

Wednesday, August 31, 2016

Biglietti Teatrali al Contrario



Sono contento che anche 'sta sera, abbiamo qui a teatro i giovanissimi, lassù in cima alle scale. (Un applauso ai giovanissimi!).

Sentite, giovanissimi! Questa sera noi faremo come nella Grecia antica. A quei tempi, chi andava a teatro non pagava biglietto... ma era pagato. Non ci credete? Non vi insegnano a scuola? Eppure sta scritto nei libri di storia!

Perciò da questa sera, non sarete costretti a scappare a fine primo tempo, quando si passa a chiedere dei soldi... a meno che non vi siate già stufati. In questo caso, fate bene a scappare: non sarà colpa vostra ma del nostro spettacolo.

Allora questa sera, chi resiste in teatro dall'inizio alla fine, riceverà un Leuro. Non è molto ma è già un piccolo gelato. Se risparmiate il Leuro,  potrete fare come Paperone e diventare miliardari. Personalmente, non ve lo consiglio. Invece potreste comprateci un libretto, di questi che vendiamo qui nel teatro.

Allora adesso, noi si farà come gli antichi Greci. Passerà la nostra Maschera, che vi darà un biglietto per ciascuno... ma solo ai Giovanissimi. Poi, alla fine dello spettacolo, chi consegna il suo biglietto riceverà un Leuro. Dico bene: un Leuro a testa, ma niente di più! Non cercate di imbrogliare, accumulando più biglietti. Perché, quando vi paghiamo, faremo a tutti un timbro sulla mano. Maschera, procedi!
...
Adesso tutti zitti! Ora inizia lo spettacolo. Buon teatro a tutti quanti!