Teatro-Letto alle Scale di Porchiano introduce la nuovissima audizione dell’indegno Jack Todino, sulla più breve (ed alta) poesia di Iacopone, che ci tornerà a ripetere: O iùbelo de core / che fai cantar d’amore.
Nel suo giùbilo, il cuore dapprima si scalda, di seconda si accende e di terza si incendia, preso tutto in dolze gaudio, (che vuol dir : dolCe goduria). Ma si volge pure attorno e in qualche modo si consìdera, nel più pazzesco stile iacoponico, di rispecchiamenti, echi e alliterazioni foniche; oltrecché di sovversioni dell’eros sublimato - nella poesia cortese dei trobadours; oltrecché divulgazioni dall’ero-teismo nell’ultra-teologia... in crescendo turbinoso di sublime smesuranza.
(1) Nella sua prima fase di riscaldamento, l’omo canta balbettando, la lengua sua barbaglia, senza riuscire a dire una parola: jù be là, bè babbà... (2) Nella seconda fase di accensione, non può più che gridare senza alcun ritegno e non vIrgogna allorE. (3) Preso in terza, da un incendio devastante, l’omo incontra della gente che (di quanto gli succeda) non ne capisce niente. Perciò sarà dIriso per quanto ne stra-parla, parlanno esmesurato, quando non grida- e stride-. (4) Passato in quarta, l’ omo deventa savio, cioè prende coscienza che non dovrebbe esternare il proprio stato (so convenente), non può però, frenare il suo clamore: più grido che parola. Secondo certi Esperti, clamare sia piuttosto di “cantare a gran voce (e ritualmente) Dio”, ma Iacopone qui, non invoca altri che Iùbelo. (5) Passato in quinta, l’ omo oltre che deriso, sarà creduto pazzo, deviante e desvanito, da tutta quella gente che non ha custumanza (o contatto) con Iùbelo... lo comprenderà soltanto - chi ne ha già lo cor fIrito - dal suo Giùbilo indicibile.
Dai tempi che la Bibbia fu tradotta nel Latino (al IV Secolo), il giùbilo si equivoca con il giubilèo. Quest’ultimo però veniva dall’Ebraico jobel / yovel: quel corno musicale, che ad ogni cinquantennio, avrebbe segnalato l’apertura dell’anno giubilare. Allor quando si azzerano i debiti e le proprietà private, si vieta ogni lavoro e si libera ogni schiavo… con relativo giùbilo (pare) universale. Anche però al Biblista più credente, non v’è sostanza storica di tale giubilèo ma, sia pur soltanto favola, vi sarà qualche morale.
Intanto si notò che il giubiléo rende la società al suo stato originario, mentre il giùbilo riporta l’omo individuale all’urlo primario della propria nascita, o pure a quell’homo selvaticus, che si ritenne privo di linguaggio, non già però di voce. Altri ancora, vi rintraccia il suono cosmico (verbo od urlo che esso fosse) dal quale l’universo scaturiva o scaturisce (perché Tempo è relativo persino nella Fisica). Comunque sia, lo jùbilus latino (incastonato nella Bibbia) par connesso di fonetica con l’acclamazione bacchica evhoè, o per dir meglio euhàn, dal Greco euài. Fuor di Bibbia, di Iubil- si echeggia nel tardo latino, per schiamazzare gioiosamente (in Sereno Summanico) ma di peculiare schiamazzo dei villici (Apuleio), per grida scomposte di campagnoli e di sudati vendemmiatori (da Frontone a Marc’Aurelio), per chiamare a gran voce (Aprisso in Varrone) o per grida di guerra (Ammiano). Dunque tutto sommato, il Giubilo è un eccesso (1) di voce e (2) di emozione…. come l’urlo di GOAL quando segna la squadra, appunto del còre.
Per la Bibbia però (devotamente) si giubila soltanto nel Signore degli Ebrei. Di Salmi 89: Beatus populus qui scit iubilationem: Felice il popolo che sa il grido di gioia… ed esulta tutto il giorno nel tuo Nome (non Javè che non può dirsi, ma lo Jah in allelu-Jàh). Ancor secondo Salmi, persino le montagne (a modo loro) ne allelùiano. Di più secondo il pazzo Maestro d’Assisi: se ne giubilerà cum tucte le creature. Secondo il savio Maestro D’Aquino “(jùbilus est laetizia immensa”:) una gioia smisurata, impossibile ad esprimersi oltre che in voce disarticolata ed in cert’altri moti impropri”. Tra i quali il BagnoRegio (collega del D’Aquino), enumerò tremori, singulti, spasmi (e quant’altro) che quasi svaporando erompe fuori.” (sì tradotto dal Tresatti da Lugnano, che ci incorrerà tra breve). Secondo Wikipèdia, Iacopone in questa lauda, vuole esprimere gli irrazionali sentimenti che l'amore mistico infonde nel credente; è un'estasi molto simile a quella rappresentata da Bernini nell'Estasi di santa Teresa d'Avila (per non dirla molto simile - ad un orgasmo erotico)… Ne riprende Wikipèdia che (in quest’insolita lauda iacopònica) l'amore per Dio non si esprime nella mortificazione di sé ma in una gioia indescrivibile, che ricorda molto, più che l'amore intellettuale, una violentissima passione fisica (per non dirla - come sopra). Secondo più insigne iacoponista (il Leonardi Matteo), di tale sposalizio -interiore- con lo Spirito, l’amplesso segreto si svela nel grido... ma secondo la santa Caterina da Siena, esso si esterna pure in altro di corporeo (quanto del resto, attesta il BagnoRegio).
Secondo un ulteriore iacoponista insigne (il Canettieri Paolo), la de-sublimazione dell’eros trobadorico emerge pure dalla pia leggenda, che vuole questo Iùbelo de core fosse improvvisato a voce: dittato - nei destri del nostro luogUo de’ Pantanelli; nei cessi primordiali del convento francescano, ch’è situato in quel di Baschi, nei pressi di Lugnano in Teverina. Tale sito è rilevato (forse per campanilismo) da quel iacoponista secentesco del Tresatti da Lugnano, ma non risulta affatto da codice più antico, cui ci si atterrà tra breve.
Il Canettieri dunque, raffronta lo stilema trobadorico del cuore divorato con la coratella putrida di Iacopone. Questa appare nel contesto, come compatto cuore di un agnello e non come teglia mista di interiora (qual’è la coratella di tradizione umbra), così meglio confortando la suggestiva ipotesi del Canettieri. Mal ne insorse, Parodi lo iacoponista: “Nulla di più grottesco e disgustoso!... Non so quale punizione meriterebbe il frate, che ha fatto il poter suo - per deturpare in sconcio modo - il nobile e ardente canto del poeta, e ha osato voler far credere che il giubilo del cuore di Jacopone fosse allusivo alla coratella.”
E che ci narra, l’anonimo biografo? “Et esen(do) una volta tentato questU homo de Dio (fervente francischIno) fra Jacopone, de mangnare d’una coratella, et questU (como vero conbattetore contra li vizii) volse tenere la via de mezo, cioè de contentare el corpo e l’ànema. E tanto fece che procura una coratella, la quale como l’ebe, l’apicò nela cella dove lui dormiva. Et la matina (quando era l’ora del mangnare) et llui andava et resguardava quella coratella, e tocàvala on poco colla facia e poi tirava via - et secondo la usanza, l’altro dì faciva el simele. Et tanto state cussì quella coratella, che envermenì et puzava ssì forte, che se sentiva per tuto el dormetorio. Et fra Jacopone onne dì la visitava, e tocavala col volto con molto piacere, per confondere el vitio de la gola. Or tanto crebbe quella puza, che se sentiva non tanto per lo dormetorio ma per tuto lu luoco. Onde li frati stavano tuti amaricati, non sapendo donde questa puza vènese et per più dì cercàrone donde quella puza pòdese venire. Et non podendo ciò trovare, stavano malcontenti ssì per la vergogna et per llo danno. Alcuni deli frati se comenzò ad scorgere che più era orribele puza, descontra alla cella de fra Jacopone, che altrove nel dormetorio. Onde comenzarono a sospetare de fra Jacopone dicendo: «qualche fantaste-carìa averà fata, questu fantastico de fra Jacopone», perochè llu tinivano uno fantastico, per quello suo desprezo et viltade che mostrava. Et finalmente aprendo la cella de fra Jacopone, trovarono quella coratella tuta marzia, piena de vermi, tanto fetente che per veruno modo, lo bastava l’animo ad acostarse ad esa, la quale fra Jacopone odorava per cosa molto odorifera. Allora quelli frati (reprendendolo asperamente) lu pigliarono et, pésole sensa tocare terra, lu portarono nelo necessario e miselo dentro en quella puza, dicendo: «poichè te sa cussì bona la puza, tòglitene et sàtiatene mo, quanto tu voli». La qual cosa fra Jacopone recevette con tanta alegreza, como uno goloso affamato fose stato posto ad una mensa piena de soavissimi cibi. Et estando lì dentro tuto giubilando, cantando ad alta Boce quella lauda che comenza: O iubelo de core / che fai cantarE d’amore.”
Poi assieme all’ alta Boce / quella musica svanì / tranne qualche nota rotta / tra le lettere del testo. Molti si son provati (in questi sette secoli) a rimediarsi un ritmo che cantasse l’incantabile, e (fra quanti su YouTube) par eccellente il rapper Mc Iacopone: <https://youtu.be/HAMGyaqyAUI>.
Qui da Teatro-Letto, vi si propina invece, un paio di versioni più tradizionali, nella dimessa boce dell’indegno Jack Todino!
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