L'ultimo della cospicua stagione di TeatroLetto.
FRATE RANALDO, Lauda 88 di Iacopone da Todi.
Dal Teatro Letto alle Scale di Porchiano
andiamo ad introdurre l’umile provino
dell’indegno Jack Todino.
Pròlogus
Gli Esperti hanno notato che nel libro iacopònico, questa Lauda (negativa) di Ranaldo, prosegue l’argomento VANA SCIENZA, ch’già di canto nella Lauda (positiva) di Pazzia, la quale ne precede numerata 87. Ma la numerazione non fu di Iacopone, il quale mai compose né codice né libro, anzi aborriva i libri in generale, quanto il suo pazzo Maestro di Assisi, che sconsigliava ai suoi di averne e di studiarci. Si direbbe qui però: “morto il maestro, tutti gli allievi in testa” perché (com’è già di Prologo a Pazzia 87), i Francescani assursero a ben più cospicue cattedre, dall’universitarie a quelle vescovili e vaticane. Dalla Sorbona invece, il Professor Ranaldo sarà promosso a Todi, Direttore di cospicua azienda sanitaria (nell’anno del Signore 1287).
Ora dopo pochi anni,“sTA en TErra attTUmulaTO”(ta-tè tùmu-to): mORTO e sepOLTO ma non finisce lì, perché c’è un oltre-tomba o meglio tre: un gaudente e due cocenti. Iacopone ora si chiede (e insistente chiede al Prof), se sia andato en gloria o en caldo, insistendo d'assonare a Ritornello (ra-Ra-nà, do-do-sì / dé-quo, bé-tsi, dé-spu). Pur insiste ad imitarlo nel suo gergo di accademico: disputare quistione de quòlibet, demustrare, iudecare, appalare lo vero: sofismi e silo-ismi; le carte la scola ed il curso... che non sarà scolastico, come fra breve, ne sarà glossato. Stiamoci ora, al flusso giullaresco dei termini scolastici (qui scolastici nel senso teologante) che Iacopone sfoggia, sebbene esso in Lauda 25, si riconosca “i-diota en Teologia”, in compagnia di rima con le “follia” e “pazzia”: ai versi 41, -2 -e 3: -ia, -ia, -ia, -X... perché (salvo licenze ma a giudizio degli Esperti) pure la 25 è ballata zagialesca (di origine moresca). Né v’incresca - all’88 di Ranaldo, ove tra breve udrete insistere una X (-ato in ispecie):
-aldo -aldo -aldo, -ato -ato -ato,
-enza -enza -enza, -ato -ato -ato,
-ola -ola -ola, -ato -ato -ato,
-ore -ore -ore, -ato -ato -ato,
-olta, -olta, -olta -ato -ato -ato...
tutto ben ecceterato, ma in difetto d’altre rime, che non turbò il Poetone più che il rapper d’oggidì. Né più lo conturbò la esmesuranza tra sillabe nel verso (8, 9 e quasi 10), tanto meno lo disturba la discordia tra gli accenti (zoppicanti di tono su 3 e su 4). Tutte sommate, altrettante esmesuranze (in 88 di Ranaldo) che nell’87 di Pazzia, per contigua che ne sia (ia ia X).
Ma chissà come Iacopone me cantasse? E se pur, forse mimasse - un violino immaginario, come il suo pazzo Maestro d’Assisi. Gli Esperti sono incerti, dunque tra breve udrete - solo arie contaffatte e di impura fantasia - nell’umile provino dall’indegno Jack Todino, idiota in prosodìa come di melodìa.
Prima però, vi occorre di riprendere quel curso, che fu non già scolastico, quale s’intende d’oggi, sebbene fosse il ritmo più eseguito nelle lezioni d’aula (pur del Professor Ranaldo): cuursus plaanus, cuuuursus taaards, cursus velox; che Iacopone tutti, li giustappone a rismi (che son versi da poeta e non da Prof). Ma non g-iova più dis-curso (né rismi né sofismi) a chi è g-jonto a Collestatte. Collestatte ch’è di fatto, un paesello qui di Terni ma, di proverbio, sta per “cimitero”... e stàttece colà! ove jùdeca la sola Veretà-, la quale (secondo Giovanni 14.6) è Cristo di Persona. Cristo Giudice però, non ha affatto revellato a Iacopone il destino di Ranaldo (il s-uo scotto, uo cò to, poi no sò do), che è esaminato appunto dal Poetone.
Il Prof però, qui fa sempre scena muta: non è Morto che Parla: no 47 al Lotto! 42 e 31 di Lauda, ambo d’uscita su TeatroLetto; che potrebbe ancor uscirne, con Laude 37 e 61, dell’anima predata e del corpo seppellito. Quest’ultimo almeno dovrà uscirne per forza, ché il suo putrido sfacelo, si mantenne sempre saldo - in vetta alle classìfiche laudesi: perché la 61 Altura-Sepultura è accertata dagli Esperti quale cover secolare, ovunque si facesse coro di Laudesi. Ed è accerto pure, (de bona cosci-enza) che il Ranaldo moribondo - confessasse onne peccato al suo Pre-lato, l’ultra-prete che gli fece quell’ onzione di Olio Santo, che smacchia ogni peccato (destigne onne peccato).
Sì ma tra rituali e fòrmule, il Frate-Prof ci sì pentì davvero, di vera contrizione? o si pentì soltanto di attrizione, soltanto atterrito dal caldo assoluto? Secondo Iacopone, può restargli di peccato ultra-mortale la superba teologia, che pretende definire l’infinità esmesuranza, insomma Dio... ma di peggio, che il teologo ben poco Gli obbedisce, nell’umiltà dovuta in questo mondo.
Come s’è ben ridetto, tale pretesa scienza non fu soltanto vana: ben profittava pure dell’onore cattedratico. Questo incluse grande spese: per imbandire i lauti simpòsi accademici, per vestirsi di ricchisimi velluti e d’ermellini, per ornarsi di collari, di fibbie e di medaglie... tutto massiccio d’oro. Tutto il contrario insomma, della stentata dieta e del saio rattoppato - che sono scelti dal fratecello autentico… umile e desprezzato ma perfetamente lieto, quanto il suo pazzo Maestro d’Assisi.
Or riassunte le quIstioni (forse) medievali, ecco a Voi l’impasto acustico dell’in-canto Iacopònico
pur nell’umile provino
dall’indegno... Jack Todino!
Versione F. Mancini
R
Frate Ranaldo, do' si andato?
De quolibet sì ài desputato.
1
Or llo me di', frate Ranaldo,
ché del tuo scotto non so' saldo,
se èi en gloria o en caldo
non lo m'à Deo revellato.
2
Honne bona coscienza
ch'el morir te fo en pazienza;
confessasti to fallenza,
assoluto dal prelato.
3
Or ecco ià' la quistione,
se avesti contrizione
(quella che n'è vera onzione,
che destigne lo peccato).
4
Or è' ionto a la scola,
ove la Veretate sola
iùdeca onne parola
e demustra onne pensato.
5
Or è' ionto a Collestatte;
loco se mustra li to fatti,
tratte ne so' fore le carte
del mal e del ben c'ài oprato.
6
Ché non ce iova far sofismi
a quilli forti siloismi
né per curso né per rismi,
che io vero non sia appalato.
7
Conventato si en Parisi
a mmolto onore e grande spese;
or se' ionto a quelle prese
che stai en terra attumulato.
8
Aio pagura che ll'onore
non te traiesse de core
a ttenerte lo menore
fratecello desprezzato.
9
Dùbetome de la recolta,
che del déveto non sia sciolta,
se non pagasti ben la colta
ch'el Signor t'à commandato.
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