Il mio Pianto di Maria
Iacopone di Strada è un attòr comico. Non è certamente
un tragico... non è neppure un comico di professione, ché di mestiere, faceva
il tessitore, anche un poco lo scrittore. Si è permesso di tradurre e
interpretare la tragedia assoluta di una madre, che assiste alla morte del
figlio, violenta e prematura. La morte di ogni figlio sarà sempre prematura, e
violenta, per la madre. Che la madre si chiami qui Maria e che suo figlio si chiami
Gesù, saranno dettagli nella sostanza della tragedia.
Chi si è imparato il Greco, può spiegarci come il canto
dei capretti stia all'origine di tutto, quello che ancora chiamiamo
"tragedia". In lingua greca infatti, "capretto" fa tragos, e "canto" ci fa odìa. Dunque, all'origine della
tragedia, ci starebbe un canto di capretti. Quando piangono i capretti? Prima
d'essere sgozzati per essere mangiati, un tempo in onore alla divinità ed oggi
solo per rallegrare il ventre. E' un'allegria crudele ma è nell'economia... Eh
sì, l'Economia! Chi mai potrebbe opporsi all'Economia? E' nell'Economia: ogni
pastore salva solo figlie femmine, più forse quell'unico maschio migliore, che
manterrà il numero del gregge. Sarà il gregge delle capre o delle pecore ma è
pure sempre, anche il gregge egli umani.
Gesù non è un capretto ma è considerato "Agnello di
Dio". Qui per Paqua, ci si mangia l'agnello, quasi fossimo dei perfidi
Giudei. Sor Alberto non si turba ad ammazzare i polli mi confida ma gli agnelli
invece sì: "perché l'agnello piange come un
figlio".
E' noto che nel caso di Gesù, questo figlio di dio abbia pure una madre.
Confrontiamo la tragedia dell'Agnello con quella di sua madre, che innalza un
pianto ancora più straziante.
Iacopone ci mostra questa madre, che non si sottomette
alla ragione inflessibile dell'economia, pastorale o teologica che sia. Maria
sa tutte quante le profezie ma non si arrende a sacrificare il figlio: il suo
amore assoluto. Iacopone, l'implacabile poeta, ci espone un'implacabile
tragedia. Anche lui come Maria, non tergiversa con la "teodicèa",
cioè con la divina giurisprudenza, per la quale e per come, la pena di Gesù
condonerà la colpa dell'umanità. Maria non appare come madre di dio, qui lei è
soltanto una madre di uomo... o di un essere animato come tutti li animali.
Anche l'umile attòr comico di strada non si addentra in
teodicèa né in teologia... e poi da comico, non gli riesce bene il pianto.
Perciò si è risolto a intonare le invocazioni a "figlio" emesse da Maria, come tante affettuose cantilene, che
una mamma rivolga al suo bambino. Certo, il contesto è tragico, la lingua batte
dove il cuore duole... ma deve batter pure dove il cuore gode. E dunque qui, la Madre rivede e stravede, nel
suo figliolo adulto e suppliziato, il suo tenero bambino "occhi giocondi", che lei ha vezzeggiato con candide poesie: "Figlio - amoroso giglio, figlio - bianco e vermiglio,
figlio - senza simiglio..." e nella cantilena di una madre, il verbo si fa carne e
si rispondono.
Non saprei dire altro, perdonate a quest'umile comico:
lui può fare soltanto il suo antico mestiere, che è sempre quello di abbassare
ciò che starebbe in alto per innalzare sempre, ciò che starebbe in basso. Che
il popolo lo ascolti e ne decida.
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