Teatro alle Scale di Porchiano

Porchiano del Monte, di Amelia TR, non quello di Todi PG. Teatro all'aperto con estensioni al bosco. Dedicato a Iacopone da Todi. Spettacoli, edizioni e divulgazioni del Poetone Iacopone ma anche del Poetino Angelo Pii e Divina Corriera di Buddha Bus. Artisti e non artisti benvenuti ad esibirsi .

Tuesday, August 28, 2018

Primo Video CANTA' DAVIDE )+(


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Video grezzo di Francesca Cocchi


Storia di Davide Lazzaretti, di Angelo Pii.
Monte Labro, 17 agosto 2018

Tuesday, July 31, 2018

Comunicato Stampa

Comunicato stampaCantà Davide”
Narrazione  della  Storia di Davide Lazzaretti  composta
da Angelo Pii, poeta contadino e apostolo di Davide
Interprete  Luciano Ghersi
Monte Labro, Arcidosso ( Grosseto)
dal 14 al 17 agosto 2018
INGRESSO LIBERO

Dal 14 al 17 agosto, sulla vetta di  Monte Labro, ( oltre 1000 m.) nel Comune di Arcidosso (Grosseto), Luciano Ghersi presenta “Cantà Davide”, narrazione scenica della Storia di Davide Lazzaretti composta da Angelo Pii, poeta contadino e apostolo di Davide.
Dieci appuntamenti, in orari diversi, diurni e serali, ciascuno per un canto del poema composto da chi all’epoca dei fatti c’era, per cantarlo a tutti, seguaci e non: Angelo Pii, il Poetino, che cantò la storia in un poema di oltre mille strofe, ottomila versi incatenati in rima.
In “Canta Davide”, Ghersi indossa il variopinto costume da Apostolo, riproduzione fedele degli abiti indossati dai numerosi seguaci del Lazzaretti. Si vuole cosi far conoscere e rivivere, oggi, la storia di Davide Lazzaretti ( Arcidosso 1834, Bagnore 1878) nei suoi luoghi,  ancora mèta di turisti  e “pellegrini”. 
Proprio nel 140° anniversario della sua esecuzione da parte della Polizia Sabauda, avvenuta il 18 agosto 1878, nel corso della “mascherata” mistica tra il 14 e il 18 agosto, che voleva segnare la seconda venuta di Cristo, con l’ inizio di una nuova età di giustizia sociale. Insieme a lui morirono altre quattro persone e trenta circa furono i feriti, tutti poveri contadini, che dopo la strage furono processati e arrestati.
Davide Lazzaretti, detto “ il Cristo dell’Amiata” elesse il Monte Labro a sede della sua attività sociale e mistica; nel 1869 vi costruì una Torre a forma di spirale e un eremo, i cui resti sono visibili ancora oggi. La sua esperienza si svolse negli anni successivi alla unificazione dell’Italia, periodo di burrascosa transizione per il nostro Paese. Barrocciaio di mestiere, come suo padre, sin da ragazzo in Maremma subì febbri alte con visioni mistiche che lo condussero a intraprendere un personalissimo percorso spirituale. Fondò una comunità che si rifaceva alle prime comunità cristiane, a valori quali uguaglianza, solidarietà e lavoro in comune per combattere la povertà. Il simbolo della sua nuova Chiesa Giusdavidica era composto da due C contrapposte con in mezzo una Croce, per significare una seconda venuta di Cristo.
Considerato pazzo e sovversivo dalla Chiesa, perseguitato dalla legge, conquistò invece personaggi illustri, in Italia e all’estero, come Lombroso, don Bosco,  Maupassant, Gramsci, Verga,  Tolstoj e padre Balducci. Anche Simone Cristicchi ha voluto dedicare a Lazzaretti un libro “Il secondo figlio di Dio” ( Mondadori, 2016), divenuto poi uno spettacolo teatrale. 
Luciano Ghersi, genovese, filosofo per studi e tessitore ‘a mano’ per passione e mestiere, ha vissuto a lungo alle falde del Monte Labro, sui luoghi di Davide, appassionandosi alla  sua avventura mistica e sociale e già nel 1999 ha pubblicato una riduzione divulgativa in prosa dell'opera del Pii, per i tipi di Stampa alternativa, Collana Mille lire. Trasferitosi in Umbria, nel suo piccolo “ Teatro alle Scale” di Porchiano del Monte, Amelia, ha divulgato  in modo giullaresco le Laude comiche di Jacopone da Todi – mistico, ribelle e scomunicato, come poi  Lazzaretti. 



Orario degli appuntamenti:
14 agosto ore  22;
15, 16 e 17 agosto  ore 8 – 18 – 22

Per informazioni:  338 6762691
ONLINE: iacoponedatodi.blogspot.it, FB Cantà Davide, Teatro alle Scale

Pii INTRODUZIONE

Fra Questi ci son' io, che canto e suono
quei gran fatti avvenuti al naturale. (833.1-2)

Quei gran fatti sono noti, annotati e riproposti in ogni modo. O quasi: non c'era stato ancora, il modo di ascoltare integralmente il canto e il suono di Uno fra Questi, tra i Villani implicati nei gran fatti. Si tratta di Angelo Pii (1846-1928), detto "il Poetino" ma che invece, è un gran poeta, orale e popolare. Il soprannome non ne diminuisce il merito: gli fu probabilmente imposto da fanciullo, quando iniziò a cantare di poesia, improvviando versi alla maniera dei Villani. Egualmente, il soprannome "Pinturicchio" rimane appiccicato ad un massimo pittore rivelatosi artista fin da piccolo (Bernardino Betti, 1454-1513). Forse persino il gigantesco Mozart (1576-1791) fu soprannominato "Musichetto" quand'era soltanto un fanciullo prodigio col suo parrucchino incipriato. Il Poetino non sarà così famoso, il suo canto sarà udito solamente da Villani di montagna... tutti quanti emarginati peggio ancora, perché eretici devoti al loro santo Davide: tal Lazzaretti, nativo di Arcidosso, un rustico Messia che finì sparato in strada dalla Polizia. Tutto tornava in rima, con profezia e poesia... e così sia nei secoli di secoli. Mentre l'individuo umano, sorge e cade come foglia dal suo ramo, concimando di saggezza  la terra del Villano. All'epoca del Pii, era normale pure che fiorissero poeti, fra le tenere foglie dei Villani. 
La poesia improvvisata a braccio ("estemporanea, improvvisata") è un'ancestrale arte popolare, nel suo duplice senso: "propria del popolo" e "molto diffusa", ma pochi Letterati la notarono, perché di norma non se ne stampava ed era raramente, pure manoscritta. Ciò non ostante, un più curioso Tommaseo [Niccolò 1802-1874], andò in cerca dei "canti d'ottava" di tale Beatrice di Pian degli Ontàni. Non inganni il cognome di Beatrice: non è affatto nobiliare e neppure, un cognome vero e proprio: denota soltanto il suo luogo d'origine, come il "da Vinci" del bastardo Leonardo [1452-1519]. La Villana degli Ontàni, già adulta e maritata, fu posseduta improvvisamente da spirito poetico... certamente non ignoto neppure ai suoi Villani genitori, se le misero un nome celebrato da Dante. A una festa di nozze paesane, la Bice si alzò in piedi a improvvisare rime in onore degli sposi. Da allora fu chiamata "la Poeta" e fu ospite contesa di feste e matrimoni. La sua modesta fama raggiunse il letterato Tommaseo che arrivò sul cavalluccio, fin sù al Pian degli Ontàni, per registrare i versi della rustica Poeta. 
A quei tempi, i letterati non sapevano di "Lingua degli Dei" [Costa], nè tanto meno di "Mente Bicamerale" [Jaynes] però li affascinava "l'Anima del Popolo". Qusta obbligherà i Villani a combattere le guerre per l'Unità d'Italia... a parte la Dalmazia (oggi in Croazia) ove nacque, per sventura italianissimo, il nostro Tommaseo. Nè di questo, lo si incolpi, se egli montava in groppa al cavalluccio, sino al Pian degli Ontàni, per registrare i canti della dantesca Bice. Purtroppo, la Poeta non lasciava memoria del suo vento (707.4): non riusciva a ricordarne neppure una parola, nè poteva improvvisare un canto a freddo, neanche per il Tommaseo, senza l'atmosfera giusta, perché la poesia Villana funzionò così. Il solerte letterato fu costretto ad aspettare l'occasione conviviale, che ispirasse nuovamente la Poeta smemorata. Ed allora. ne trascrisse qualche canto, armeggiando alla tavola di nozze, con penna e calamaio tra gli ebbri paesani. [da Benni].
Al contrario, il Poetino trascrisse i suoi canti su Davide di propria mano: a futura memoria e, come va aggiunto lucidamente, se la memoria avrà un futuro [Leonardo Sciascia]. Possiamo immaginare che il canto del Poetino, quanto quello di Bice ai banchetti nuziali, sorga improvviso per grazia speciale (833.4) all'incanto dei compagni rincovati e disposti ad udire il vangelo (la "bella notizia") del Lazzaretti, Villano quanto loro. Così in Prefazione di M. Chiappini: "La narrazione di Angelo, detto il Poetino, sicuramente venne fuori a lume di candela, nella quiete delle lunghe notti dove, serrando l’uscio allo stridore dell’inverno, fra le domestiche mura ci si rincovava, ed al fuoco dei ceppi ardenti nel camino, le struggenti nostalgie della memoria indirizzavano il cammino." La Storia che vi canto, ve lo indrizza... / in ciò porgete orecchio e state attenti! (6.3-4).
Il Poetino, in quanto Apostolo tra i Dodici di Davide (727.5), si improvvisa a buon diritto come evangelista. Così a suo modo, ne canterà la Storia ai fedeli rincovati, intrepidi e sparuti quanto quelli di Gesù, perseguitati insieme dallo Stato e dalla Chiesa: dal Regno d'Italia o Impero Romano, dal Sinedrio degli Ebrei o Vaticano. Qui l'autentico Studioso indagherà se il Poetino ne scrivesse prima o dopo, di quanto lui cantava ai Davidiani rincovati. Già Davide in persona aveva scritto assai, a nome del suo Dio, ed aveva pure ammesso di non saperne tutto il significato. Ogni voce di profeta, o di poeta, sia sostanzialmente significante più che formalmente significativa. Il divino può svelarsi nel dettaglio più sommesso: nella brezza che sussurra, più che nel terremoto e l'uragano (Re.1 19.12). Qui nel Poetino, si può enunciare all'eco di una rima, che ci proponga un suono, di sapore o di contatto con il divino, da noi dimenticato nel mortìfero sonno del peccato (1.2). Così, vada colto, il senso più arcano di Davide, insieme con quello del suo Poetino. Quanto a lui personalmente, resta da dirne poco, oltre a quanto se ne cavi dai suoi canti, quando egli si enuncia drammaticamente in prima persona (803. 833, 843, 956...) o nelle rare testimonianze orali: "Angelo Pii [...] cantava sempre di poesia" (vedi Nota a che il Ventesimo, 840). Ne restano anche, le tracce infamanti  di cronaca nera, pubblicate durante il processo per la celebre "Causa Lazzaretti ed altri": [Angelo Pii] "parla con lentezza, con una quantità di frasi ricercate e qualche volta spropositate, pare che reciti un'omelia o un'elegia [con] premeditate e empiriche ampollosità. [... ha l']abitudine di parlare istrionescamente in pubblico [...] la sua inflessione ha un poco dell'avvocato [...] e molto del predicatore di bassa sfera [...]. Sciorina senza riprender fiato una quantità di paroloni rotondi ed impropri; la costruzione dei suoi periodi ed i suoi traslati sono tali da far cadere in deliquio il più arcadico cinquecentista. Gli errori più madornali e inverosimili infiorano il suo discorso" (da Pitocco, in Note). Molto bene! se le jene inestinguibili del giornalismo hanno così rimasticarono la secolare satira contro il Villano, il Poetino ne risulta, almeno, ben più cólto. Pur sarebbe interessante rintracciare le sue deposizioni tra gli atti processuali... ma questo sia lavoro per autentici Studiosi. Nel frattempo, si cercherà alla meglio, di cavare del teatro dell'incognito Poetino: cantandone poesia suono per suono, gesticolando parola per parola, con il fiato che rimane... e in attesa di altri attori, migliori e imprevedibili.
Gli autentici Studiosi e i veri Attori siano dunque benvenuti... ma avvertiti da Prosaica di attenersi all'umiltà: "Riporto una testimonianza di Domenico Pastorelli discepolo, fatta dopo anni. Era sul principio della detta fabbrica [438], e un giorno David gli disse se voleva andare al lavoro della fornace della calcina. Promise ed andò, mentre lavorava sopraggiunse David con varie persone. [...] E al Pastorelli domandò: «Che dicono al paese?» quegli rispose: «Vorrebbero un miracolo per credere». «Disgraziati» disse David. «Di che tinta lo farò, quando sarà il tempo dei miracoli. Avrei piacere che allora non ci si trovasse nemmeno la suola delle scarpe». Si rivolse al monte e proseguì: «Se mi levassi la maschera, avrei tanto in mano che con un fiat da far sbarbare tutti i castagni di Pianola». [...] E siccome li vedeva interessati e attaccati alle cose terrene, così diceva: «Se tutta la vostra roba fosse paglia, a quest'ora l'avrei bruciata, e allora sarei certo di cavarci qualche cosa. Ed ora mi avvedo che voi fate l'aia e gli altri ci trebbieranno. Vedete cari figliuoli; è impossibile venire dietro a me, perché il sacrificio è grandissimo, poiché per voi è lo stesso che pigliare un sacco di grano e gettarlo per queste rupi, e voler poi pretendere di ritrovarlo tutto. Se io gettassi la maschera dal volto e mi facessi vedere chi sono, morireste tutti. Mettete in pratica i miei avvertimenti che sono diretti al vostro bene»".

Originale, Copia, Stampa, Fotocopia e Copione
Così ho redatto, a mio totale rischio, questo Copione. Ho trascritto integralmente la precedente ed unica edizione del Poema, che fu stampato postumo nel 1965, con sciagurati errori, refusi e lacune. Tale Stampa si basava sulla Copia del testo Originale dell'Autore, datato 1907. La Copia è scritta a mano, per l'occasione, da Turpino Chiappini, "alla luce del lume a petrolio" e dopo mezzo secolo, come ne ricorda Mauro, qui di Prefazione. 
La Stampa incluse una bella paginetta introduttiva di Antonio Moscato, insigne cattedratico ma, parimenti, divulgatore storico del Lazzaretti, nella sua pur rispettosa ottica marxista. La paginetta include pure una breve NOTA dei giurisdavidici, umilissimi in Dio, com'essi sono sempreQuel libro raro, si può trovarlo oggi, in Biblioteca Comunale di Arcidosso ed in quella "della Ghisa" (Follonica, GR). Se ne trovi Fotocopia in Biblioteca CPA (Centro Popolare Autogestito Firenze-Sud)... e pure altrove, sempre più sbiadita ma sia, comunque, di indelebile poesia.
L'Originale manoscritto del Poeta fu disperso per sciagura, tra gli sgomberi domestici effettuati dagli eredi. La Copia manoscritta da Turpino è conservata invece in Fratellanza Giurisdavidica. Qui Mauro Chiappini l'ha confrontata con la prima bozza del mio Copione, segnando puntuali e preziose correzioni. Devo aggiungere che Mauro si sottopone al rito di ricopiare, nuovamente a mano, tutto il Poema, già trascritto da suo padre dall'autografo del Pii. Nel frattempo, che il canto popolare del Poeta orale sia resuscitato dal presente Copione corretto, dichiarato in copertina d'uso orale, perché è rivolto appunto alla recitazione, pubblica o privata. Spente le voci elettriche, si accenda la poesia... Caro Lettore! qui v'è grazia e vita / opera contenente Scienza e Bene. / Stùdiala, impara! e ti sarà gradita (1036).

Punteggiatura, Formati Grafici ed Ortografici
Per facilitare il canto del Lettore improvvisato, ho aggiunto alle parole del Poeta una punteggiatura, che suggerisca il senso delle frasi ai meno avvezzi e, sopra tutto, ai Giovani lettori (se possano esisterne ancora). Ad esempio: <la fortezza mi diede san Michele> diventa <la fortezza, mi diede, san Michele> perché sarebbe lui a dare la fortezza. E così via di , virgola : due punti ; punto-virgola. Così meglio può capirsi una lettura e, via dicendo, un suo significato letterale. 
Ho aggiunto parimenti . punto fermo perché il nostro Poeta registra i suoi canti su carta senza farci mai di punto e, raramente, di virgola. Ad orrore dei Grammatici, ho aggiunto pure ' apostrofo ed accènto,per agevolare gli Sgrammaticati.
Ho messo tra (parentesi tonde) ogni lettera d'inciampo a una recitazione attuale. Al contrario, ho invece aggiunto, tra [parentesi quadre] quanto fosse necessario ai ritmi fonici. Ho posto tra quadre [ ] spaziate anche le pause di sillaba muta. Le quadre [] senza spazio risolvano invece, i "dittònghi" tra parole contigue: suggeriscano un distacco di pronuncia tra vocali, quanto la ¨ dïeresi interna ad una parola. Ovviamente, tutto questo era superfluo per l'Autore e per i Villani i suoi pari, che sapevano cantarne a modo loro... senza stare a misurarsi col Metro letterario in 11 sillabe: con il verso endecasìllabo, che sembrava il ritmo principe in bocca agli Italiani, cólti o meglio Villani... peggio oggi, tra i creatori di annunci commerciali. 
Ricorro all'espediente della _lineetta bassa_ per sostituire tutte quante le virgole di Stampa, che spesso non hanno funzioni logiche ma recitative: segnalano pause nella dizione, più che sezionare membra nel corpo della frase, rispetto a una corretta anatomia lnguistica. 
I discorsi diretti si pongono tra "«virgolette»", gli incisi del Poeta tra -lineette-. Una lineetta-singola suggerisce soluzioni alternative di lettura: come e-d' al posto di ed'. Le voci di "avere" pigliano la h: ho... hanno invece che ò... ànno. Pronomi divini, parole Importanti e Personaggi pigliano Maiuscola. Si pongono in corsivo le correzioni di ogni probabile errore di Stampa o di Copia. Si aggiunsero in corsivo pure i titoli, per scandire in qualche modo gli episodi della Storia.

Note 
In coda al Copione, si trovano Note di vario genere e dimensione. Innanzi tutto le Note lessicali, per spiegare le parole più difficili, che siano dialettali, tecniche o antiquate. Ho creduto di rivolgermi a un Ragazzo di oggi, con il suo limitato vocabolario, che non include sempre periglio o desìo. La Poesia non è morta, forse ha cambiato nome: può chiamarsi pure Rap. 
Comunque sia, ho pure svolto in prosa elementare le frasi più complesse. Tali Note di paràfrasi possono ben chiarire ma impoveriscono il senso della Poesia, che andrebbe colto come sintassi in flusso. Dichiarandomi inesperto, improvviso questo termine per definire "il flusso fonico e verbale del poeta che improvvisa". (Tale il Pii si dichiara in 833.3-4 e, non caso, nel congedo al Poema, in 1036.79). Basti così: gli autentici Studiosi potrebbero tracciare una mappa di improvvisi che affiorano al Poema.
Nel frattempo, e con analoga vivisezione, si demolisca l'apparato fonatorio del Poeta. Fatta così astrazione dai suoni della voce, si potrebbe analizzare freddamente (con rigore scientifico) l'organismo residuale del "significato" nella trama "improvvisata" dal Poeta popolare. Operando in tal modo, una qualsiasi cellula verbale può attribuirsi al testo che la precede ma, altrettanto bene, a quello che ne segue, dove funzionerà diversamente. Questa sintassi in flusso non è formalmente logica ma sembra quasi un processo naturale... un rizòma botanico. Di conseguenza, per cogliere il "senso" della composizione poetica, occorre rinunciare all'eredità scolastica della "analisi logica e del periodo sintattico". Non di meno, le Note di paràfrasi si offrono a proporne, per placare ogni eventuale ansia intellettuale, che potrebbe ostacolare l'audizione più serena. Così da parte sua, l'emisfero cerebrale parallelo ricavi da ogni ottava un sistema probabile di "significati", come il Fisico quantista, che interpreta galassie ed eventi sub-atomici: senza averne certezze definitive ma sapendo che ogni scienza è implicata nell'evento che presume di descrivere. 
Non si dolgano gli autentici Studiosi delle banali Note su gli eventi, i personaggi storici e i siti geografici. Questo libro si rivolge agli improbabili Lettori adolescenti, istigandoli a cantare recitando, a scuola e fuori, meglio ancora a Monte Labro e nei siti dei gran fatti. Vengono in Note, altrettanto banalmente, miti e culti, cattolici e biblici, senza i quali ci si può disorientare nell'onnìvora storia di Davide e Soci. Ho cercato di indicare quanto il culto (o la Bibbia) coinvolga sedimenti simbolici ancestrali nel suo racconto definititivo. Ogni trama che si narri religiosa va a insinuarsi in un ordìto precedente, forse psico-fisiologicoche può sempre sostenerci come siamo o ci illudiamo d'essere. Altrimenti, c'è l'odierno ordito narrativo che ci sottopone, scientificamente, al culto spietato del Potere d'Acquisto... ma Con l'àrgebre dei vostri computisti, / non gioverà per far' novelli acquisti. (411). Qualsiasi sia la scelta, anche nessuna, meglio attenersi al canto, più che alla lettera: sarà la voce a darne differenza. Perciò va rispettato l'apparato fonatorio del Poeta e va abolita la sua vivisezione, che fu proposta sopra come ipotesi chirurgica.
Ho confrontato i canti del Poeta con gli scritti in prosa e in versi dello stesso Lazzaretti, citando all'occorrenza. Idem ho fatto con la prosaica Storia scritta dall'Imperiuzzi, mentre il Poeta ne improvvisava un'altra in parallelo, cantandone a suo modo di poesia. Affido ancora agli autentici Studiosi di indagare la sinossi tra questi due vangeli d'epoca moderna... e con il vangelo apòcrifo del prete rinnnegato: Don Tista Polverini.
Ho citato altre testimonianze, che sembrano anche rivelatrici dell'irriducibile pluralità del Lazzaretti: "Io sono un Essere che faccio figura secondo le circostanze" (in Nota a L'inglesina Alice, 447). Ho ripescato echi ed intarsi danteschi: il Poetino conobbe assai bene la Divina Commedia dell'Alighieri. Pure conobbe la Gerusamemme del Tasso ma di questa, non raffronto perché mi è indigesta. Si affida infine, agli autentici Studiosi, il raffronto puntuale del Poetino con l'Alighieri e il Tasso, con le fiabe e le novelle dei villani o più prosaicamente, con il lessico giuridico e carcerario.
Ho cercato di accostarmi con rispetto e con affetto al corpo del Poema (e di conseguenza, del Lazzaretti) senza ambire di costringerlo in formule severe. Del resto, ogni forma o sostanza è realmente illusoria: questa è la sola verità della poesia (o del Lazzaretti stesso, che pure fu poeta, oltre che profeta). Sia questo, il mistero indicibile dell'iillimitato corpo divino, che alcuni insistono a voler chiamare Dio, magari Padre.  Ho annotato, d'altra parte, un Marianesimo, dove il culto per Vergine Madre risente di ancestrali credenze pre-cristiane. Tra altre cose del genere, ho annotato pure certi organi agricoli nel corpo simbolico di Davide e Soci. E così via... la storia insostenibile di Davide provoca sempre nuove, ed irresponsabili, interpretazioni.
Il sovrano del Mare del Sud aveva nome Rapido, il sovrano del Mare del Nord aveva nome Inatteso, Il sovrano del Centro era chiamato Indistinzione. Rapido e Inatteso si erano incontrati un giorno nel paese di Indistinzione, che li aveva trattati con grande benevolenza. Rapido e Improvviso vollero ricompensare la sua accoglienza e si dissero: "L'uomo possiede sette orifizi che gli servono a vedere, a ascoltare a mangiare, respirare... Indistinzione non ne ha neppure uno, proviamo a fargli dei buchi" Si misero all'opera e gli praticarono un orifizio al giorno. Al settimo giorno, Indistinzione morì" (Zhuang-zi).

Torno a dire in conclusione, che la storia nel Poema non va soltanto letta mentalmente. La si legga teatralmente, a piena voce [Majakovski]. Poi che l'oda chi ne può e, chi voglia, ne ripeta... sui luoghi del miracolo di Davide e dovunque possa udirsi di utile poesia. Così ne stampò pure, nei suoi limiti cartacei, un poeta surrealista e cittadino di Parigi (Paul Éluard, Liberté, su volantino, 1945):
Scrivo il tuo nome al di sopra del silenzio.
Sono nato per conoscerti, 
sono nato per amarti:
Libertà!

Wednesday, July 25, 2018

CANTÀ DAVIDE il programma definitivo

CANTÀ DAVIDE 2018
Recita integrale a Monte Labro. 
Angelo Pii, "Storia di Davide Lazzaretti Profeta" (1907).

14 Agosto, CANTO PRIMO ore 22. 15 Agosto, C. SECONDO ore 8, C. TERZO ore 18, C. QUARTO ore 22. 16 Agosto, C. QUINTO ore 8, C. SESTO ore 18, C. SETTIMO ore 22. 17 Agosto, C. OTTAVO ore 8, C. NONO ore 18, C. DECIMO ore 22.


http://iacoponedatodi.blogspot.it - FB Cantà Davide, Teatro alle Scale.
Info Luciano Ghersi 338 6762691

Tutti i 10 copioni dei singoli canti sono pubblicati qui di seguito. Note e introduzioni a parte in PDF nell'edizione integrale online.

Pii CANTO PRIMO


CANTÀ DAVIDE 2018
Recita integrale a Monte Labro
Angelo Pii, "Storia di Davide Lazzaretti Profeta" (1907)
http://iacoponedatodi.blogspot.it - FB Cantà Davide, Teatro alle Scale

14 Agosto, ore 22 
CANTO PRIMO

1 - In Cielo come in Terra
9 - Natività di Davide (6 Novembre 1834)
15 - Davide con il Vecchio della Macchia (25 aprile 1848)
27 - Gioventù e matrimonio di Davide (23 Agosto '56)
35 - Davide in guerra per l'Italia (1860)
50 - La Moglie lo riacciuffa (1861)
52 ATTO SECONDO
54 - Davide ancòra col Vecchio (25 Aprile '68)
64 -  Alla spiaggia dei Mostri 
78 -  Per il Mare
84 -  Alle Tre Fonti

[0] - CANTO PRIMO - Argomento
I disegni di Satana e di Dio
canto in prima e, dell'Uomo Misterioso,
natali. Gesta del Bene e del Rio,
pur' conferenza d'un Vecchio glorioso.
Il bene, il male, l'amor' a' desìo,
il passo militar' pericoloso, 
il sogno, la virtù, l'ordinazione
che il Vecchio detto, l'espose a Missione.
1 - In Cielo come in Terra
Giacéa l'umanità come sepolta
nel mortìfero sonno del peccato.
Satana n'attendea la sua raccolta
nel Mondo, d'ogni vizio seminato.
Si credeva compi(e)re,_ alla sua volta,
qual che aveva, in antico, disegnato:
di conquistare a tempo, cielo e terra
dopo ingiusta e faticosa guerra.
2
Ogni sétta del mondo, eniqua e sgherra,
sotto le sue bandiere, militante,
ribelli di quel Dio che il bene asserra,
formano il mostro d'eresia Gigante.
Per porri il freno,_ su questa mosfèrra
il Padre Eterno, sdegnato per tante
iniquità dëi ribelli suoi,
punisce nell'insieme, ancora noi.
3
La Vergine Maria, co' pochi suoi
eletti figli, prega il Padre e mesta
umilmente, in mezzo a' grandi Eroi,
le fe' per tutti, utile richiesta:
come per esso i Vati, prima o poi,
aveano profetato a chiare gesta,
che un Figlio dell'Uomo_ avesse eletto
per cui ne fosse Satana interdetto...
4
... e di Nuovo, tornar' porre in assetto
tutte le cose guaste col Peccato:
da un pio legislatore, in'im-perfetto
corso, ridurre il Mondo macolato.
E col nome di "Davide", predetto 
Ezechièl da Isaìa; "Pastòr" chiamato,
messo Prence,_ Monarca e Capitano 
di gente eroica e santa, in senso arcano.
La Vergine, che mai supplicò invano,
l'Antico, colla forza ne presiede.
Trovandosi obbligato, lieto e sano,
Le concedette ciò_ ch'Ella richiede.
Sol, Si ritenne il Suo diritto in mano
per adoprarlo, quando il tempo riede,
per la Süa vendetta di giustizia,
con ciò punir', degli empi, ogni nequizia.
6
Ma chi sarà colui? Di qual milizia,
ne verrà il Salutare_ delle genti?
La Storia che vi canto ve lo indrizza...
in ciò porgete orecchio e state attenti!
L'Italia è quella che tanta primizia 
condona, a beneficio dei credenti.
E chi non l'amerà da buon' fratello
è, di sé, e di Dio,_ empio ribello.
7
Ai piè' del Monte Amiato v'è un ostello
circüìto da colli e da colline,
lo prospetta l'antico Monte Augello,
due fiumicelli gli fanno confine.
Fra le corna di questi, alto castello
sorge, cólle torrazza peperine.
Palazzi e case varie, intorno, ha estese
a borghi,_ e d'Arcidosso,_ il nome prese. 
8
Per l'antiche [] ed eroiche contese
che, fe' i guerrieri suoi, contro i rivali,
e onorate vittorie, alla cortese,
che vi portonno, a scanso_ dei suoi mali,
e per le scienze che suoi dotti apprese,
e per la fedeltà, che a principali
reggenti, dimostrarono in un tratto... 
così, che Capoluogo ne fu fatto. 
9 - Natività di Davide (6 Novembre 1834)
Ivi nacque un bambino che, nell'atto
del balbettìo, due lingue addimostrava.
Similmente quattr'occhi: due sul piatto
della verga virile, li celava.
Una lingua gli sparve, appena estratto
gli fu quel filo, che la lingua aggrava.
E per cui, la sua madre Fäustina
ne ringraziò_ la gran bontà divina.
10
Già questa donna, di buona dottrina,
del ceppato Biagiòli, discendente.
Del Lazzaretti il padre, paladina
la sua prosàpia, d'illustre corrente,
il suo nome è Giuseppe. Da mattina,
andò alla chiesa con un suo parente,
l'anno MilleOttocentoTrenta e poi
vi metta il Quattro, ne' compìti suoi.
11
Fu battezzato al tempio in braccia ai suoi
nel mese di Novembre, il giorno Sette. 
Davide, fu chiamato_ e non v'annoi
ciò che il Compare a voce gli promette,
ov'egli_ profettizza:_ "Pria che muoi',
che dovrà esser Re di gente elette".
E cotàl' profezia,_ bene ispirata,
sapremo_ come si è verificata.
12
La madre le parea esser' beata
di tal' figliolo, cui era il secondo.
E lo nutrì ben' lieta_ affezionata,
e netto lo tenea, da cima a fondo.
E forse lo spoppò, dopo un'annata,
per ristorarsi da natura'l pondo.
Non' anche tratto la prima gonnella,
sapeva fare qualche orazioncella.
13
Davide, nell'età sua püerella,
era vispo e castano di capello
e, distaccato già dalla mammella,
sviluppò e comparve grandicello.
Nella sua adolescenza, forma bella
si mostrò, in natura, lindo e snello.
Divers'anni, alle scuole fu mandato
e, dal Padre, del resto, ammaestrato.
14
Giuseppe il padre - che sù v'ho notato -
usò fare, al tempo, il barrocciaio.
E, in altre varie industrie, era versato
e, di sette figlioli, era ben' gaio.
Davide, farsi frate, avea pensato
e, del Mondo, fuggir' qualunque guaio.
Ma il Padre lo distolse dal fecondo
pensier',_ ch'avea di rinunziare al Mondo.
15 - Davide con il Vecchio della Macchia (25 Aprile 1848)
Un giorno, essendo in una selva in fondo,
da Grosseto non molto già distante,
Macchia Peschi chiamata, ora rimondo
bosco, che v'è Cana soprastante.
D'Aprile il QuarantOtto, quando in tondo
lo cingéa una nebbia fluttüante,
presso de suoi giumenti, se ne stava
ed un certo rumore n'ascoltava.
16
Ancor' gementi, gli occhi si mostrava,
per emissione di coscienza, attrito,
quando improvviso,_ gli si presentava
un vecchio Frate,_ col mulo guarnito.
Di fronte il giovanotto, salutava
con sorriso pietoso, favorito.
Lì vi,_ chiese un sentiero_ da vicino,
per seguitare a lungo_ il suo cammino.
17
Il giovanetto, udendo il pellegrino,
gli fece il suo dovuto schiarimento.
Fu soddisfatto_ e osservò un tantino
Davide tutto quanto, bene attento.
Ed egli, vergognoso a capo chino,
non sapèa_ cosa dirsi,_ a suo talento.
Quando che il Vecchio gli soggiunse intanto:
"Ditemi, giovanetto, avete pianto?"
18
A quanto dire, dal singhiozzo affranto,
non potea profferir' nessun' parola.
Il Frate lo incoraggia dal suo canto
e, con sagge parole, lo consola.
L'invita_ di narrargli i fatti in quanto
della sua vita, e per cui s'induola.
Pregato umilmente, in contrizione,
gli fe' di sé minuta Confessione.
19
Il Frate ascoltò il tutto e, d'affezione,
gli die' consigli di buona dottrina
dicendo: "La tua vita, o buon' garzone,
è un Mistèr', che in ultimo s'attrina.
Il tempo ne verrà a maturazione
e, la ricolta allor', farai divina.
E per tanto Mistero, alto e profondo,
ammirato sarai, da tutto il mondo.
20
Un giorno la saprai, quando il fecondo
tempo si compia_ e l'ora sia vicina.
Cerca d'esser devoto nel tuo pondo,
alla Vergin' Maria,_ nostra eroina.
Essa ti condurrà, lieto e giocondo,
nel corso di tua vita pellegrina."
Così, di tasca, una medaglia prese,
con un cordone, al collo_ gliel'appese.
21
E, prima di lasciarlo in tal' paese,
con la sua destra man',_ la sua gli strinse
e tanto, fu il dolore che lo prese,
che di rossore, tutto si dipinse.
Si credette morire_ in quelle prese,
che se non pianse, la vergogna il vinse.
Di ciò, a far' silenzio, fu ordinato
sin' che non era il tempo maturato.
22
In tale situazione_ fu lasciato.
Scomparve il Frate tra la nebbia folta,
col muletto, da tergo accompagnato,
fra vespri e sandri nella sélva incólta.
Soletto il garzoncello, e spaventato,
si trovò sotto un elce. Alla sua volta,
da una febbre convulsa, fu agitato
che cadde ai piè' dell'elce, rannicchiato.
23
Tremò un bel pezzo,_ benché copertato
si fosse, col cappotto e con le balle.
E, dalla sete, essendo tormentato,
bevve a fosso ch'avéa ver' le sue spalle.
Dissipata la nebbia e disfebbrato,
prese i giumenti e uscì da quella valle.
Alla capanna andò,_ ove abbergava
che una Vecchia, co' figli, l'abitava.
24
La Vecchia, che nel volto lo scontrava
pallido, dalla febbre già abbattuto,
ad egli, quel che avesse, addimandava,
poiché il suo bel colore avéa perduto.
E lui rispose che una febbre brava
l'avéa ridotto com'era veduto.
Ma tacque il resto_ di quel che ordinato
gli fu, da quell'incognito mandato.
25
Chi sia costui_ dirò, e vi sia grato,
ma ora udrete: quella Vecchiarella
mandò avvisare il Padre in altro lato,
di Davide le diede la novella.
Che avendo udito ch'egli era malato
andò a trovarlo in quella capannella.
Che a Polveraia, lo condusse e poi
a casa tornò_ sano, in mezzo ai suoi.
26
Ma quell'impulso_ ch'ebbe prima, noi,
cosa fu,_ possiamo immaginare:
la man' che strinse, il vecchio Re d'eroi
con il suo tatto, la fece tremare.
E' quello che convièn' che prima, ingoi
l'uom(o), per venirsi tutto a preparare
ad una fede di ravvedimento,
che abbatte il vizio e dà risorgimento.
27 - Gioventù e matrimonio di Davide (23 Agosto '56)
L'adolescenza ne passò contento,
menò una vita quasimente santa,
cantava allegro e dimostrò talento
particolare, d'influenza tanta.
Ma giunto ai diciott'anni, d'ardimento
mostrò gran forza e, di beltà, s'ammanta.
Leale,_ coraggioso_ ma sfrenato
pe'i vizzi popolani, andò offuscato.
28
Co' muli e co' cavalli,_ affaticato,
si guadagnava il pan' con gran fatiche.
Nessun' temeva nel suo proprio stato,
guai! se trovava qualche attacca-brighe.
Un giorno, presso Murci èrasi andato
con un', detto Badengo in prime righe. 
Viaggiando col carbone alla contenta,
un serpe grosso, ad ambo, si presenta.
29
Badengo era sul ciuco,_ il guardo attenta,
disse "Per Dio, [ ] non si va più avanti!"
e, volto a dietro, tutto si sgomenta:
addita un gran serpente. In brev'istanti,
Davide, sorridendo, gli s'avventa,
quello si rizza con fischi assordanti.
Per cüi, te lo strinse per la gola,
di tutta forza, senza far' parola.
30
Si dibatte il serpente, in sù v'impòla
la punta della coda avvelenata,
parimente la lingua, in puntaruola,
mostra l'acuta essenza amareggiata.
I fitti denti, che in bocca s'ammola,
dimostrò con la fàuge già infocata.
Ma il giovane, che a stringerlo n'attese,
fra le sue mani, vittima_ lo rese.
31
Il serpente ben' tutto si distese: 
fu quattro braccia lungo e fu spellato.
[ ] In grosso corrente, il cuoio estese
di centimetri sette,_ riquadrato,
tutto lo ricoperse! E chi_ l'intese
e chi ebbe tal' fatto costatato
furon' meravigliati pe'l coraggo
ch'ebbe l'eröe, di veril'_ lignaggio.
32
Nella sua gioventù,_ sembrava un Maggio
per la maschil' bellezza naturale
e per la sua parola di vantaggio:
attraente d'ingegno,_ alto e speciale.
S'innamorò, del suo bel päesaggio,
dopo che il Padre suo, morte fatale,
l'anno CinquantaTre tolse di vita,
n'attese a completà' la sua partita. 
33
La giovane,_ che amore proferita
l'avéa, per esser già con lui legata
per compiere la prole, favorita,
Carolina Minucci, era chiamata.
Il Ventitre d'Agosto, fe' compita,
Mill(e)ottocen(to)CinquantaSei,_ legata
la ebbe in matrimonio._ E' se la piglia
e la condusse in seno alla famiglia.
34
E così seguitava,_ a meraviglia
nella sua industria, per andare avanti.
Ebbe cinque figlioli e r'assottiglia
sé co' pensieri, che vedéa pressanti.
Del sabato, faceva la Vigilia
a onore di Maria,_ madre dei Santi
 - come quel Frate, udiste,_ gli rivela...
che il suo gran nome, sino a qui, si cela -.
35 - Davide in guerra per l'Italia (1860)
Quando il CinquantaNove, alzò la vela
contro il Tedesco,_ l'Italia e la Francia,
il popolo si sveglia,_ piagne e bela,
ché i lupi ci avéan' posti alla bilancia.
Vittorio Emanüele, la gran tela,
avea intessuto, per coprì' la pancia
ai denudati figli, di riscatto
con Garibaldi, e liberarci all'atto.
36
Davide, che non era mentecatto,
mosso dall'amor' patrio e dalla fede,
lasciò la sua famiglia nel contatto
della sua Moglie, già pe' figli in piede.
Col General' Cialdini andò di fatto 
a porsi a ruolo._ Il posto, gli concede
nella cavalleria... e' non fu tardo
a farsi guerra, appo Castel Fidardo.
37
Dalle Marche e dall'Umbria,_ tal' gagliardo
Generale passò._ Poi venne a fronte
Depimondàn[ne], General' codardo,
cui fu ferito presso un piccol' monte.
Davide, tra le braccia, con gagliardo
coraggio, il portò via,_ che parve un Conte.
E, come per miracolo, scampato
fra le palle nemiche, e' fu salvato.
38
Terminata la guerra col Papato,_
a Napoli, n'andò col reggimento.
Presso della caserma, sitüato
giaceva, di ristoro, un casamento.
Una ragazza dal viso rosato
addivenne amorosa, in un momento,
di Davide. Che libero, il credéa,
e, di farselo suo, pensato avea.
39
"Maria!",_ Davide un giorno le dicéa
"t'inganneresti a crederti mia sposa.
Io sono un ammogliato e, cosa rea,
il fare inganno a te con altri, osa.
Io ti vo' bene, anzi il mio cor' si bea
del bene che mi vòi sopra ogni cosa.
Ma, prima ch'io ti faccia tradimento,
per l'amor' tuo, vorrei morì al momento!"
40
La donna, nell'udir' l'appuntamento
del suo, creduto, amante ben' leale,
non si sturbò nè fece vanamento
ma seguitò ad amarlo naturale.
Anzi, gli discoprì_ con dirgli attento:
"Contro di te, vi è una congiura tale
per gelosia di me,_ ostinata e forte,
che uno d'essi ti vuol dar' la morte."
41
Infatti, uscito fuor' da quelle porte,
lui s'imbattè cor un dei congiurati
che, con offese simulate e storte,
lo insultò con motteggi scellerati.
Davide, con parol'_ fondate e accorte,
lo esortò a lasciar' cotal' peccati,
che sorpreso, il rivale, per giustizia,
si scusò col fratello di milizia.
42
Un giorno, passeggiando per dovizia,
s'imbattè in un malato Bersagliere,
languido e diffinito in gran tristizia, 
che provò, nel vederlo, un dispiacere.
E, prèsolo a braccetto d'amicizia,
lo condusse dov'era un locandiere
ed, a sue spese, lo fe' nutricare
sin' che, dal male, non venne a sanare.
43 
Lui non sapéa come ricompensare
il suo benefattore assai cortese.
Ma lui gli disse: "Non ti sgomentare,
da buon' fratello, ti ho fatto le spese".
E ciò, in pace, lo seppe mandare
e, mille buoni auguri, a dargli, attese.
E così, ritornarono al suo posto
di milizia [ ]- come vi ho deposto -.
44
Un altro giorno, ravvisò ben' tosto,
un cane che addentava un corpo umano
che giacéa morto, dalla strada scosto
ov'era un campo._ Accorse al caso strano
e, sceso dal cavallo,_ 'sendo accosto, 
pria fece al carnivòro_ un grido arcano,
poi discavò una buca lì vicino
e, il corpo, sotterrò, garibaldino.
45
Un Tenente lo vide per destino
e, da vigliacco, lo venne a trattare
e' qual fosse un birbante o birichino,
perché il cavallo ne venne a lasciare.
Davide gli rispose, senza inchino,_
che non era vigliacco in tale affare, 
come lui lo trattava in tal' giornata,
perché, misericordia, aveva usata.
46 
Da una parola, all'altra_ rimbeccata,
l'uno, contro dell'altro, andò focoso.
Avendo ambo la sciabola sguainata,
s'attendeva un duello sanguinoso.
Fra il mezzo d'ambe due, corse in parata
altri bravi soldati,_ stuol fastoso.
E Davide fu preso e fu legato,
dopo averlo ben' tutto disarmato.
47
E così, ingiustamente imprigionato
per aver messo un morto sotto terra,
sotto il Consiglio di Guerra passato
per aver punizione inigua e sgherra.
Di questo caso, lo seppe il soldato
che lui sovvenne._ La parola afferra:
al Giudice, si andò a presentare
che, Davide, doveva condannare.
48
Gli venne, tutto il bene, a'rraccontare
che l'avéa fatto, essendo disfinito;
e che non lo credéa di mal'affare
in nìssun' caso, di qual-sìa partito.
E che gli rincrescéa l'udir' parlare
che, essere, doveva, annichilito.
Che, per prova speciale di coscienza,
potéasi rievocar' crudel' Sentenza!
49
Quel Giudice l'attese con pazienza:
le paréa che dormisse ed era sveglio,
di Davide, conobbe l'innocenza,
che, del Tenente, era più giusto e meglio.
Rivocò nell'istante la Sentenza
perché il timor' di Dio gli facéa speglio.
E, con sommo contento degli amici,
ritornò in libertà nei dì felici.
50 - La Moglie lo riacciuffa (1861)
Carolina sua Moglie, l'infelici
pensieri, l'agitava, di famiglia:
il male avrebbe messo le radici,
quella discordia che, il tutto, scompiglia.
Di Napoli, lasciate l'appendici,
quel Reggimento corse a meraviglia.
Ad Èmpoli, si venne a rifermare,
ove la Moglie sua_ l'andò a trovare.
51
Ai Superior' di lui, a presentare,
si venne Carolina. Ed umilmente
gli richiese dovergli congedare
il suo caro marito,_ là presente.
Di sua famiglia, le venne a narrare
circostanze e bisogni_ parimente.
Che i Superior', per farlo il suo dovuto,
congedavano Davide assoluto.

ATTO SECONDO
52
Ritornato in famiglia, e ravveduto
del male che credette avergli fatto,
riprese il suo mestiere, risoluto:
a rimetter le dotte, parve adatto.
Per Orbetello e Siena, conosciuto
fu come uomo commerciale esatto,
pieno di carità ed affezione,
che sovvenne, in più tempi, più persone.
53
Allo studio,_ avea molta passione,
scrisse e compose molte pöesie,
di vario metro e varia posizione,
che saranno stampate, in un bel dìe.
Un bel tempo passò, che in abblevione
andò, dopo che il Frate gli apparìe:
dal Quarantotto, giunse a Sessantotto
che quel buon' Vecchio non gli fé più motto.
54 - Davide ancora col Vecchio (25 Aprile '68)
Il venticinque Aprile,_ a passo o trotto,
tornò da Siena con la sua pariglia
e, staccati i cavalli suoi, di botto,
andò [] in casa, con la sua famiglia.
Da una frebbe convulsa, fu corrotto
e pe'l dolor' di testa,_ ne sbadiglia.
Nel letto, bello caldo, si ripone,
s'addormentò ed ebbe_ una visione.
55
Gli paréa essere sopra di un sabbione
sulla riva del mare, e passeggiava.
Da tergo, una foresta gli s'espone,
orribil' vento il mare n'agitava.
L'acque tórbe, agitate in cavaglione,
una piccola nave s'appressava.
Egli pregava il cielo, che salvasse
colui che gli paréa che remigasse.
56
Le parve, a riva, la nave arrivasse,
lui s'appressò per ravvisar' chi era.
Un Vecchio, dentro, ben' notò che stasse
con un remo di bronzo alla frontiera.
Di bronzo, era la nave,_ senza asse,
tutta d'un pezzo, ben' formata e nera.
Il Veglio, che nel mezzo, assiso stava,
Davide caramente il salutava.
57
Cui gli rese il saluto e s'inchinava
davanti ad esso, sensa far' parola.
Lunga e nera, la toga addimostrava,
la cintola il cingéa di bianche suola,
sàndal' bianchi, nel collo, al pié, portava.
Nere le carni e riccia barba, assola.
Un berretto a turbante, aveva in testa...
al Frate, il simigliò, della foresta.
58
D'un solo salto, s'ispiccò alla lesta
della sua nave, e piantò il remo in terra.
Con una corda celeste, l'assesta
ed, a prua, in un egùcio l'afferra.
La barca galleggiante, un suono, desta
con la corda, legata che non era:
nell'ondeggiare, effetto producéa
che d'un arpeggio, e l'eco ne paréa.
59
Assestata la nave, si volgéa 
a Davide dicendo: "Oggi l'Inferno
è in commissione... ma contro l'Astrèa,
di lui, che regna? Andrà franato eterno!".
"Sì, mio buon' Vecchio," soggiunse, "d'idea,
mi dette il cuore, come io discerno:
s'è scatenato! Dal naufragio rio,
non poteva salvarvi... altro che Dio".
60
Risposte il Vecchio: "Si, figliolo mio,
sìasi pur' l'Inferno scatenato
ma invano ruggirà, t'accerto io,
contro Colui che regna in ogni lato.
Chi in Lui confida e franco a Suo desìo
e' giammai, non perisce nel suo stato".
Mentre, tali parole, pronunziava,
da ogni parte, l'eco rimbombava.
61
Davide, come estetico, restava.
E, dopo alquanto, riprese coraggio
ed umilmente, ad egli, addimandava
da dove era venuto, lì di viaggio.
Il Vecchio gli rispose: "Dalla schiava
Terra dei Grandi, e dono luminaggio
a chiunque, sia in tenebre cascato,
e, dal Padre dei numi, son' mandato.
62
Ramméntati,_ che un dì t'ebbi trovato
in un deserto fra la nebbia folta.
Ti dissi che tua vita, nel suo stato,
era un Mistero da fa' buon' raccolta.
Tu dovresti riavermi ravvisato
com'io ravviso te, alla mia volta."
Davide ad egli: "Sì, V'ho conosciuto...
al(lora il) vestimento, nuovo mi è paruto".
63
Rispose il Veglio per sagacia arguto:
"L'abito mai, non cangia la persona!
Io ti promisi, in un tempo compiuto,
di ritrovarci insieme in questa zona.
Or ci siam' ritrovati, tu hai creduto
di buona fede, mia amicizia è buona".
E, preso per la destra,_ disse: "A mente,
osserva tutto_ e non temer' di niente". 
64 - Alla spiaggia dei Mostri 
A quanto dire, un grido, di repente,
si fece udir', tremendo e spaventoso 
che, al Vecchio s'aggrappò subitamente,
che lo esortò ad esser' coraggioso...
in guisa, gli ordinò: severamente.
Ed alsò gli occhi al mare bu[r]rascoso
e, un Mostro Marino, ravvisava
andargli incontro._ E tre teste mostrava...
65 
... Nella testa di mezzo, le spuntava'
tre lunghe corna,_ l'altre n'avéan' due.
Le corna eran' brillanti, che abbagliava'
gli occhi umani, alle splendenze sue.
La navicella, il mostro avvicinava,
Davide, dal timor', non potéa piùe
ma il Vecchio lo incoraggia(va) e, reso arguto,
le disse: "Non temer',_ sarà_ abbattuto".
66
Questo mostro orribile e membruto
aveva quattro piè' come 'lefante,
il corpo come un porco assai zannuto,
serpente il dorso, con coda [] arcante.
Mentre s'avvicinava risoluto
verso la spiaggia, un grido atto e ruggiante
sì udì dalla parte forestale, 
quando uscì fuori il Re d'ogni animale.
67
Pacifico Leone,_ naturale,
verso il Mostro Marino, allungò il passo.
Quegli, scorto ebbe il suo rivale, 
saltò dall'acque, ben' robusto e grasso.
L'uno vide, dell'altro, il museale,
cominciano una lotta con fracasso.
Quella lotta durò ben' lungamente,
mor-se, il Mostro,_ Leone fu vincente.
68
Di nuovo, un gran ruggito assai furente
s'udì venir' dalla foresta folta:
Uscì fuori una Tigre e, prestamente,
sfidò Leone, che ver' lei si volta.
Si battéro(no) accaniti lungamente...
al fin, la Tigre fu, di vita, sciolta.
Quando s'udì-ss(e) altro_ muggiar' vicino,
uscì dall'onda, un gran d'Orzo Marino.
69
Si scaglia su Leone, empio e ferino,
con rùggiti assordanti come il tuono
e con furente rabbia. A capo chino,
vittima cadde, sensa alcun perdono.
Quando di nuovo, dal bosco caprino,
dopo un terribil' fischio poco buono,
uscì una Pantera._ Avvicinare
venne, Leone, e subito affrontare.
70
Nessuno si potrebbe immaginare
come fu dura e sanguinosa lotta:
quella Pantera cominciò a sbuffare
con tanta furia._ Mal' al fin, fu rotta
e cadde e non_ si vide più levare.
Allora un Lupo, fra le onde, flotta,
saltò fuori dall'acqua e, forte, urlava
e, due fila di denti, addimostrava.
71
Anche questo, Leone, n'attaccava
ma inutilmente, fe' la sua difesa:
a(t)terra steso, morto ne restava,
con denti doppio, esangue e l'unghia tesa.
Dopo di ciò, una (a)Jena ne scappava
dalla foresta, iraconda e accesa.
E, con ulti e latrati, in torno gira
del Leon', che l'attac[c]a, a sé_ là tira.
72
Lei l'addenta pe'l collo,_ egli s'adira
se la svelle e, sul suolo, la rivescia.
Ella s'alsa in un tratto, ardente il mira
per dilaniarlo con rabbiosa prescia.
Quel Leone pacifico, senz'ira,
col piè', gli die' sul capo, acciò gli screscia.
E, vittima, la stese, avanti a quelli
mostri, in natura orribilmente felli.
73
Fra il canto salutare degli uccelli,
quel Leone sdraiato s'addormenta
accanto i vinti, rival' sui, ribelli.
E dall'alto, una luce a lui s'avventa,
cui coronato di splendor' sì belli,
d'un'a[u]reaola radiante,_ lenta lenta,
che abbagliava il Leone ed il terreno,
formata a guisa dell'arcobaleno.
74 
Dopo un istante, un venticello ameno
s'alzò da' quattro punti sulla Terra_
ed in men' che, d'un lampo, aver baleno,
si cambiò in uragano in forza sgherra.
S'avventò,_ ove le bestie_ giacëéno:
la rena, in miscuglio, in tutto, asserra
e quei cadaver' tutti ne disperse,
ché, traversando l'acque, le sommerse.
75
Cessata la tempesta, gli occhi aperse,
il fier' Leone, in piè' sopra la rena
e, quattro gran ruggiti, egli profferse
a' quattro venti della Terra in plèna.
E, dal mare, una nuvola s'offerse
che, Leone, nascose in tale sc(i)ena.
Un vento di Ponente, agente in via,
la nube e l'animale, portò via.
76
Cessò i' mar' la tempesta; in allegria
riapparve cielo, terra e l'acque chiare.
Come di primavera, n'apparìa;
la stagione tepente nel suo pare.
Davide e il Veglio, a tanta scena ria,
si guardano ambedue senza parlare.
Poi proruppe il Vegliardo più assennato
e disse all'altro: "Hai tu, bene osservato...
77
... le diverse fasi, ed il parato
di tanta scena? E come, Leone,
in una sola volta, abbia atterrato
le sei bestie feroci, in tale agone?
E come fu, di luce, coronato
perché di tal' vittoria, fu campione?
Questo pure è un Mistero in condizione
che, più tardi, n'avrai rivelazione.
78 - Per il Mare
Or per intanto, di buona intenzione,
entra con me nella mia navicella,
poi che 'l mare, tranquillo, si dispone
per navicare in questa parte e in quella."
E così, col Veglio pio campione,
entrò dentro la nave forte e bella
e, ritirando il remo su del mare,
il vecchio nauta cominciò a vogare.
79
Fatto silenzio un poco, a ripigliare,
Davide avéa pensato, la parola,
dicendo al Vecchio, che al suo fianco appare:
"Se la mia vita, ad un Mister', s'arruola,
non Vi vo',_ su di ciò,_ addimandare.
Ma vengo a dirVi: per "di Voi", si vòla,
vorrei sapere. E dove mi arrecate
per queste acque, che_ adesso solcate?
80
Pur della nave... che Voi dominate
con il suo remo, ch'è tutta di bronzo,
e l'altre son' di legno fabbricate,
che, sopra l'acque, son' guidate a zonzo,
mentre questa diversa, all'altre, abbiate
e più franco e veloce n'è il suo ronzo...
vorrei dunque, aver la spiegazione
da Voi, mia guida e mio fedel' campione."
81
"Saprai chi so', quando una Missione
n'avräi, puntualmente, tu eseguita.
Ma or', me segui, nell'imbarcazione
e non temer' di perder' la tua vita.
Se questa barca è di metal' bronzone
e quell'altre, di legno, sò' in partita,
sappi che il mare invan', contr'essa, rugge, 
sì frana ogni altra,_ ché, l'urta, no' sfugge."
82
Il più bravo Architetto, ch'arte sugge
maggiore, a ogni altro ch'è nell'Universo,_
l'ha fabbricata unica al(l'a)pertugge...
il tentare altra uguale, è tempo perso. 
Molti si son' provati, a sole a l'ugge,
e si provan' tuttor', in prosa e in verso,
di farle uguali e, come questa, esatte...
ch'a prim'urti e tempeste, son' disfatte."
83
Così dicendo avéano, lunghe tratte
del mar', solcate: sóle acque e cielo
là si vedéa. Per cui, le parti atte,
notò al compìto, l'uom' di bianco pelo.
Da Ponente e Levante, furon' fatte
voltar' le parti del nemico stelo.
E, dopo santa e lunga remigata,
fu, una Penisola, additata.
84 - Alle Tre Fonti 
Davide disse al Vecchio: "Alma beata,
come [] ha nome, questa nuova terra?"
"Questa, Terra_ Dei Grandi_ era chiamata
ma in antico, dell'Ànzio, il nome afferra.
Or non so dirti com'è battezzata,
molte false dottrine, in sé rinserra."
E singhiozzando, la voce arrendeva
ed, a tal' vista, Davide taceva.
85
La navicella, al porto, ne giungeva
ver' levante, ove un fiume ne imboccava.
E così, l'uno l'altro, discendeva.
Il Vecchio, a un cedro, la nave legava.
É' grosso e bello, i suoi pomi spargeva,
l'Universo, miglior' non dimostrava,
ché, dei suoi pomi, carico, vermiglia,
che dimostrava una gran meraviglia.
86
Fuor' della nave, ognun' la strada piglia,
ov'era... un giardino delizioso
che, alle cose terrene, non somiglia:
pien' d'ogni bene, assai meraviglioso.
Altro quaggiù, non v'è che lo pariglia,
ben' profumato, tepente e adoroso.
Nel bel mezzo al viale, un prato ameno
vi_era_e, d'erbe_e fiori, pieno.
87
Nel bel centro del prato,_ o ver'_ nel seno,
v'erano Tre Fontane in triangolare.
Quindici metri, l'un' dell'altra, almeno,
si potrìa, la distanza, giudicare.
Al triangolo in mezzo, sul terreno,
un ammasso di Pietra intorno appare:
similmente a un deposito dell'acque...
farlo in tal' guisa, Natura le piacque.
88
Tre ruscelletti, da tal' Fonti, nacque
che influivano a paro una corrente.
Il vecchio Frate, che un istante tacque,
ritto in piè',_ a Davide presente,
ne riguardava: il Masso che là giacque,
aveva in iscrizione rossamente.
"Indìcium dei Hù, vin pùlvi-seste"
denotò la scrizione,_ cui n'è il teste.
89
Mentre Davide, in mente, si riveste
[ ] del molto tremendo scritturato,
del Vecchio, udito, non avéa le peste
perché s'era un poco allontanato...
quando [] appo le giunse. E' con man preste,
dimostrò che due pomi avèa portato.
Che, a Davide, sedette da vicino
e gli diede un dei Pomi del Giardino.
90
Dìssegli: "Tieni! Màngialo, è Divino!"
Le parve di sapor' molto esquisito,
forma, avéa, di un granato sopraffino,
i grani dolci, in vario colorito.
Mangiato che lo ebbe, a suo destino,
da subitanea sete, fu assalito.
Andò a bere alla Fonte al destro lato,
che bevuto, le parve esser rinato.
91
Fece lo stesso, il Vecchio sù notato:
per la sua parte, bevve alla Fontana,
ché anch'egli, il Pomo Bono, avéa mangiato,
sedenti su[ ]l Sasso in parte piana.
Così, davanti a Davide locato,
di nüovo le disse, a voce umana:
"Ti ripeto, ancora a mio pensiero,
che la tua vita, uomo, è un Mistero...
92
... un dì verrà_ a condizion' d'impero
e ti sarà nel caso rivelato.
Adesso, compìr' devi per davvero
la tua Missione e mi sarai ben' grato."
Egli rispose con un cuor' sincero:
"Son' pronto a tutto e Vi sono obbligato!"
Il Vecchio le soggiunse: "Or dunque, pronto!
T'attendo franco, in tua promessa, conto.
93
E così alsàti, in piè', con tal' confronto,
pronunziò, il Vecchio, una parola arcana.
S'alzò dal Masso, nello stesso ponto,
n'a-specie di coperchio in parte piana.
Il Vecchio, sensa fare altro racconto,
subitamente mise giù la mano.
Tirò fori un Volume e, nell'istante,
fe' richiudere il Masso a(-l)lor' davante.
94
Davide, stupefatto per cotante
cose straordinarie, già incantato,
d'esse'r, teméä. Stante ritto in piante,
si ripose a seder' nel posto usato.
Il Vecchio, mäestoso nel sembiante,
gli si pone davanti, al destro lato.
Aprì il Volume di color' turchino,
scritturato sul dorso in tonachino.
95
A lettere di fuoco, ma' in Latino,
v'era le due parol' che, su lo Scoglio,
ravvisò in prima, ad occhio vicino
- come sù, chiar' l'udiste - [ ] sul Foglio,
il Vecchio cominciò, alquanto chino, 
a dire franco e chiaro, sensa imbroglio:
"Sono vent'anni che, su te, ne veglio.
per cause arcane_ e per_ il tuo meglio.
96
Da questo Libro, che mi fa da speglio,
ho appreso, e mi dà buona relazione,
che ti sei fatto degno, a capo sveglio,
d'una santa ed eroica missïone:
tu ne sarai, dei Popoli, il Risveglio.
Per la giustizia, e per la devozione
verso Maria, per te guida e Sapienza,
degno, ti rende, di maggior' Potenza!
97
Ramméntati di ciò che in tua presenza,
ti dissi nel deserto,_ ed or' ti dico.
Vedi queste tre Fonti? D'esistenza,
Racchiudon' la Giustizia, per antico,
del cielo e della terra._ Qui la Sc[i]enza
fabbricò barca e remo e corda a trico-
lori. Qui l'invincibile Leone
tien' la sua salutare abitazione.
98
La Bellezza del mondo qui s'espone.
Tutti i Mostri del mare e della terra
sono abbassati dal potente unghione
del Pacioso Animale, che in tal', serra.
L'Inferno unito nella perdizione,
non pervarrà contro colui che afferra
la gran Verga, di ferro, dominante,
ch' ha Potenza d'un Dio d'ogni regnante.
99
Per ordine Sua,_ in me, parlante,
a Roma andräi, ritrovar' Pio Nono,_
per rivelarlgli le vedute tante
cose, [ ] e farai da testimono.
Con umiltà, a lui, chinati avante.
Gli parlerai a nome, dì:_ "Io sono..."
Non t'arrestare, nè ti dia timore 
rifin(i)to cortigiano traditore.
100
Nè temer' l'alta voce di Pastore,
che in essa, suona l'eco della mia.
Libero e franco, con il tuo valore,
cerca quel ch'ha le pecore in balìa.
E, col nome di "Grande", farli onore,
domàndali d'esporre la tua pia
santa Missione._ E se non è contento,
ritìrati nell'Anzio in un convento.
101
Ini, pregherai a tuo talento;
da ogni società, stai ritirato,
accettüato quello, ch'a tuo intento,
per vari segni ti sarà mostrato.
Se egli t'addimanda nel momento:
"Da chi [] e perché, tu sei mandato?"
gli dirai: "Dal più Sommo, e m'ha proposto 
quello che Voi, di cui, tenete il posto."
102
Se altro t'addimanda, sii composto:
sol' quel che devi dirgli, gli dirai.
Sii dolce e prudente, stai nascosto,
in ciò che devi, non temer' di guai.
La tua vita è un Mistero, a caro costo,
un bel giorno, il tutto ne saprai."
E mentre, tal' parole, pronunziava,
su nell'alto de' cieli, ne guardava.
103
Limpido e chiaro, tutto si mostrava:
non si scorgeva una nuvolina.
Ma però un gran rumore ne ingrossava
e scoppiò un tuono, che parve una mina:
un fulmine, la testa, l'irradiava!
E lo scosse dal sonno, la mattina,
quando tutto tremante si scoperse
e il suon' d'una campana, gli s'offerse.